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Traumatologia sportiva
 
 
Eziologia e biologia  delle lesioni muscolari
Bisciotti Gian Nicola Ph. D
 

Kinemove Rehabilitation Centers, Pontremoli, Parma, La Spezia (I).
Cattedra di Riabilitazione Funzionale dello Sportivo, Facoltà di Scienze dello Sport, Università Claude Bernard Lione (F).

Abstract

Le sempre maggiori richieste prestative che si ritrovano nell’ambito dello sport professionistico, impongono un’ottimizzazione delle tecniche di recupero funzionale in seguito ad insulto traumatico. In questo lavoro viene dapprima brevemente descritta l’eziologia biomeccanica del danno strutturale che l’unità muscolo tendinea può subire  nel corso di un evento di tipo traumatico ed in seguito vengono sinteticamente descritti processi di riparazione tissutale post-traumatici.

Parole chiave: lesione muscolare, riparazione muscolare, recupero funzionale.

Introduzione

L’evento lesivo a livello muscolare, costituisce uno degli insulti traumatici più ricorrenti in ambito sportivo. L’entità della lesione può andare dal semplice stiramento, spesso associato a rottura dei piccoli vasi, con comparsa di dolore e tumefazione, sino allo strappo muscolare completo. Le conseguenze per lo sportivo, che appaiono ovviamente correlate all’entità della lesione subita, sono sempre comunque sgradevoli e comportano nella totalità dei casi  una sospensione, più o meno lunga, dell’attività agonistica e  l’attuazione  di un’ idonea  terapia fisica.

Lo scopo di questo scritto è quello di analizzare gli eventi fisiologici che normalmente caratterizzano l’evento traumatico e di descrivere, seppur sommariamente, i meccanismi di riparazione muscolare.<

Danno strutturale  e modalità di contrazione

Il danno strutturale della  fibra muscolare può essere causato, sia da una singola contrazione muscolare, come dall’effetto cumulativo di una serie di contrazioni (Armstrong, e coll., 1991). In ogni caso, il meccanismo maggiormente correlato al possibile danneggiamento della fibra muscolare, risulterebbe essere la contrazione di tipo eccentrico (Armstrong, 1990; Garret, 1990). La ragione della maggior incidenza traumatica a livello muscolare, riscontrabile durante una situazione di contrazione eccentrica, è soprattutto imputabile alla maggior produzione di forza registrabile nel corso di quest’ultima, rispetto a quanto non avvenga nella modalità di attivazione di tipo concentrico od isometrico (Stauber, 1989;  Garret, 1990). Infatti, durante una contrazione eccentrica, effettuata alla velocità di 90° · s-1, la forza espressa dal distretto muscolare risulta essere di ben tre volte maggiore rispetto a quella espressa, alla stessa velocità, durante una contrazione concentrica (Middleton e coll., 1994). Inoltre, durante una contrazione eccentrica, risulterebbe maggiore anche la forza prodotta dagli elementi passivi del tessuto connettivo del muscolo sottoposto ad allungamento (Elftman, 1966). Soprattutto in riferimento a quest’ultimo dato, occorre sottolineare come anche il fenomeno puramente meccanico dell’elongazione, possa giocare un ruolo importante nell’insorgenza dell’evento traumatico, considerato che quest’ultimo può verificarsi, sia in un  muscolo che si presenti attivo durante la fase di stiramento, come in un distretto muscolare che sia passivo durante la fase di elongazione (Garrett e coll., 1987). Durante la contrazione eccentrica il muscolo è in effetti sottoposto ad un fenomeno di “overstretching” che, in quanto tale,  può determinare l’insorgenza di lesioni a livello dell’inserzione tendinea, della giunzione muscolo-tendinea, oppure a livello di una zona muscolare resa maggiormente fragile da un deficit di vascolarizzazione (Middleton e coll., 1994). E’ interessante notare come siano i  muscoli pluarticolarii quelli maggiormente esposti ad insulti traumatici, proprio per il fatto di dover controllare, attraverso la contrazione eccentrica, il range articolare di due o più articolazioni (Brewer, 1960). Anche la diversa tipologia delle fibre muscolari presenta una differente incidenza in termini di evento traumatico. Le fibre a contrazione rapida (FT), sono infatti maggiormente esposte a danni strutturali rispetto a quelle a contrazione lenta (ST), probabilmente a causa della loro maggior capacità contrattile, che si traduce in un’accresciuta produzione di forza, e di velocità di contrazione, rispetto alle fibre di tipo ST (Garret e coll., 1984; Friden e Lieber, 1992). Inoltre i muscoli che presentano un’alta percentuale di FT, sono generalmente più superficiali (Lexell e coll.,  1983) e normalmente interessano due o più articolazioni,  fattori entrambi predisponenti al danno strutturale (Brewer, 1960; Garret, 1990). Inoltre, è interessante notare come l’insulto traumatico sia prevalentemente localizzato a livello della giunzione muscolo-tendinea, a testimonianza del fatto che in questa zona, come del resto nella porzione finale della fibra muscolare, si verifichi il maggior stress meccanico (Garrett, 1990; Garrett e coll., 1987; Lieber e coll., 1991). In ultimo, occorre sottolineare il particolare aspetto metabolico connesso alla contrazione di tipo eccentrico. Durante la contrazione di tipo eccentrico, dal momento che la vascolarizzazione muscolare viene transitoriamente interrotta in concomitanza al meccanismo di contrazione, il lavoro svolto diviene  di tipo anaerobico; questo determina, sia un aumento della temperatura locale, che dell’acidosi, oltre ad una marcata anossia cellulare. Questi eventi metabolici si traducono in un’aumentata fragilità muscolare ed in una possibile necrosi cellulare, sia a livello muscolare, che del connettivo di sostegno (Middleton e coll., 1994). 

La patobiologia delle lesioni muscolari

L’elemento distintivo che differenzia  una lesione muscolare da una lesione a livello osseo  è rappresentato dal fatto che il muscolo scheletrico si risana  attraverso un fenomeno  di riparazione mentre il danno osseo viene ripristinato  grazie ad un processo  di rigenerazione. La maggior parte dei tessuti  biologici corporei, nel momento cui viene  danneggiata, risana attraverso un processo che comunque  esita nella formazione di un’area cicatriziale , che rappresenta un tessuto diverso rispetto a quello pre-esistente. Al contrario quando un segmento osseo viene lesionato, il tessuto rigenerato risulta  identico rispetto al tessuto pre-esistente. Il processo di riparazione  di un muscolo scheletrico lesionato segue ineluttabilmente  un pattern costante, indipendentemente dalla causa che ha causato la lesione stessa, contusione, stiramento o strappo che sia ( Hurme e coll., 1991;  Kalimo e coll., 1997).  In questo tipo di  processo sono identificabili sostanzialmente  tre fasi:

 

1)    la fase di distruzione,  che è caratterizzata dalla rottura e dalla conseguente necrosi delle fibre muscolari, dalla formazione di un ematoma tra i monconi delle fibre lesionate e dalla  reazione infiammatoria cellulare.

2)     La fase di riparazione,  che consiste nella fagocitosi del tessuto necrotizzato, nella  rigenerazione delle fibre e nella  concomitante produzione di tessuto cicatriziale connettivo contestuale alla crescita capillare nella zona lesionale. .

3)    La fase di rimodellamento, periodo durante il quale avvengono la maturazione delle fibre rigenerate, la contrazione, ossia la riduzione,  e la riorganizzazione del tessuto cicatriziale ed, in  ultimo,  il recupero delle capacità funzionali del muscolo.

 

Le ultime due fasi, di  riparazione e di  rimodellamento, sono solitamente associate o sovrapponibili (Kalimo e coll., 1997).

Le tre settimane post-lesionali

I processi di riparazione muscolare si completano in un periodo di circa tre settimane durante il quale si susseguono delle tappe biologiche ben precise e scadenzate che possiamo schematicamente illustrare in sei fasi fondamenatali come di seguito illustrato:

 

 

 

 

 

Figura 1. Secondo giorno post-lesionale : le parti necrotizzate delle fibre muscolari sono state rimosse dai macrofagi mentre, contestualmente, è cominciata la formazione, da parte dei fibroblasti, del tessuto connettivo di cicatrizzazione all’interno della  zona centrale (CZ).

 

 

 


 

 

Figura 2. Terzo giorno post-lesionale : le cellule satellite hanno già dato inizio alla loro attivazione che ha luogo  all’interno dei cilindri della lamina basale nella zona di rigenerazione (RZ).

 

 

Figura 3. Quinto giorno post-lesionale: i mioblasti si aggregano all’interno dei miotubi della RZ ed il tessuto connettivo della CZ comincia a diventare più denso.


 

 

 

Figura 4. Settimo giorno post-lesionale: la rigenerazione delle cellule muscolari si estende al di fuori dei vecchi cilindri della lamina basale,  sin nella zona CZ ed inizia a penetrare attraverso la zona cicatriziale.

 

Figura 5. Quattordicesimo giorno post-lesionale: la zona cicatriziale nella zona CZ si  è ulteriormente condensata e ridotta di dimensioni e le miofibre rigenerate colmano il gap residuo  della zona CZ.

Figura 6. Ventunesimo giorno post-lesionale: l’intreccio delle miofibre è virtualmente completato con l’interposizione di una piccola quantità di tessuto cicatriziale. La quantità di tessuto cictariziale è comunque inversamente correlata alla qualità dei processi riparativi stessi.

 

La necrosi delle fibre muscolari.

 

Nel momento in cui  un muscolo scheletrico  viene lesionato, generalmente  si può osservare un’eccessiva forza meccanica, che si estende attraverso l’intera sezione trasversale di ogni singola fibra e  che  causa la rottura del sarcoplasma all’interno dei monconi delle fibre già lesionate, lasciando quest’ultimo ampiamente aperto. Dal momento che le miofibrille (e conseguentemente le fibre muscolari)  sono, da un punto di vista strutturale, delle cellule di notevole lunghezza e dalla forma allungata  ed affusolata, sussiste un rischio reale che il processo di necrosi, iniziato nella sede della lesione, si estenda lungo l’intera lunghezza della fibra stessa. Tuttavia, esiste una speciale struttura anatomica, denominata banda di contrazione (contraction band), costituita da una zona di materiale citoscheletrico particolarmente denso, che si comporta coma una vera e propria “porta tagliafuoco” (Hurme e col., 1991). Nell’arco di alcune ore successive all’evento traumatico, la propagazione del processo necrotico è bloccata da un processo locale rappresentato da una sorta di sigillo effettuato dalla banda di contrazione a livello delle zone alterate della membrana cellulare. In tal modo, si crea una sorta di barriera protettiva all’interno della quale può essere riparata la lacerazione della membrana cellulare (Hurme e coll., 1991). Recenti studi hanno inoltre dimostrato come le vescicole lisosomiali, che si trovano all’interno del sito di distruzione della membrana cellulare, rivestano il ruolo di una membrana temporanea, e svolgano un compito centrale nel processo di guarigione della membrana cellulare stessa (Mcneil, 2002 ; Miyake e coll., 2001).

 

 

 

La fase infiammatoria

 

Contestualmente alla lesione delle fibre muscolari, nell’evento traumatico,  vengono lacerati anche i vasi sanguigni del tessuto muscolare leso. In tal modo, le cellule infiammatorie trasportate dal flusso sanguigno hanno direttamente accesso al sito di lesione. La reazione infiammatoria è in seguito “amplificata” dal fatto che le cellule satellite e le pari necrotizzate delle fibre muscolari lese, rilasciano diverse sostanze ( denominate wound hormones), che si comportano da chemio-attrattivi accrescendo, in tal modo,  lo stravaso delle cellule infiammatorie (Chazaud e coll., 2003; Hirata e coll.,  2003; Tidball, 1995). All’interno del muscolo leso, si possono osservare  macrofagi e fibroblasti che vengono attivati dando origine a dei segnali chemio- tattici addizionali (growth factors, citochine e chemiochine), diretti alle cellule infiammatorie circolanti. In aggiunta a questi fattori di crescita, prodotti ex novo, la maggior parte di tessuto contiene fattori di crescita stoccati in forma attiva all’interno della sua matrice extra cellulare (ECMs) pronti per essere utilizzati nei casi di urgente necessità, come appunto ad esempio nella riparazione di una lesione (Rak e Kerbel, 1997). Nel caso d’insulto tissutale, la distruzione dell’integrità del normale tessuto biologico, dipende dal rilascio e dall’attivazione dei fattori di crescita ECMs-dipendenti (ossia ai fattori di cresita legati alla ECMs) e dalla loro capacità di dar inizio ai processi riparativi (Ragk e Kerbel, 1997). In particolare, esistono evidenze dirette che il Tumor Necrosis Factor –α (TNF-α) riveste un importante ruolo fisiologico nel processo rigenerativo del muscolo scheletrico lesionato, la cui dimostrazione è data dal fatto che, se la sua attività viene inibita durante il processo di guarigione, si registra un leggero deficit delle capacità riparative del muscolo scheletrico stesso (Warren e coll., 2002). Inoltre, un gran numero di fattori di crescita e di citochine, come i membri della famiglia dei fattori di crescita fibroblastici (Fibroblastic Growth Factors, FGF), dei fattori di crescita insulino-simili (IGF) e dei Transforming Growth Factors –β (TGF-β); gli Hepatocyte Growth Factors (HGF) e gli Interleuchina -1β (IL-1β) ed Interleuchina-6, sono conosciuti per la loro espressione durante i traumi muscolari. D’altronde, è altresì  probabile che molti altri fattori, come il fattore di crescita piastrinico (Pleteled-Derived- Growth-Factor), siano presenti nel corso delle varie tappe che si registano a fronte di un insulto muscolare (Burkin e Kaufman, 1999; Mishra e coll., 1995), o quantomeno, che la loro espressione possa essere indotta, nell’ambito del muscolo scheletrico, da stimoli fisiologici simili a quelli che causano le lesioni micro-traumatiche, come i fenomeni di overstretching, oppure ad eventi  correlati all’utilizzo  di carichi meccanici esterni non consoni alle caretteristiche muscolari del soggetto (Burkin e Kaufman 1999; Perrone e coll., 1995). Considerando il fatto che questi fattori di crescita costituiscono dei potenti attivatori mitogenici per numerosi tipi di cellule, è probabile che possano anche essere coinvolti nell’attivazione dei processi rigenerativi del muscolo scheletrico lesionato (Best e coll., 2001; Burkin e Kaufman, 1999; Chargé e Rudnicki, 2004). Un certo numero di questi fattori di crescita, come il FGFs, IGF1, IGF2, TGF-β, HGF, TNF-α ed il IL-6, sono dei potenziali attivatori della proliferazione dei precursori cellulari miogeni ( MP, Myogenic Precursor Cell, ossia le cellule satellite) (29). Alcuni di loro sono anche dei potenti stimolatori per la differenziazione degli MPC ed in seguito, nel corso dei  processi rigenerativi,   per quanto riguarda  la fusione dei miotubi in miofibre multinucleate  mature (Best e coll., 2001; Burkin e Kaufman, 1999; Chargé e Rudnicki, 2004). Nella vera e propria fase acuta susseguente ad un evento lesivo muscolare, i leucociti polimorfonucleati risultano essere  le cellule più abbondanti presenti sul sito di lesione (Brickson e coll., 2001; Brickson e coll., 2003; Hurme e coll., 1991; Schneider e coll., 2002; Thorsson e coll., 1998)  ma, entro il primo giorno, sono sostititi dai monociti. In funzione  dei  principi di base  su cui si regge un processo infiammatorio, questi monociti sono eventualmente trasformati in macrofagi, che vengono attivamente ingaggiati nella proteolisi e nella fagocitosi del materiale necrotico, grazie al rilascio di enzimi lisosomiali (Best e Hunter, 2001; Farges e coll., 2002; Hurme e coll., 1991; Timballi, 1995). La fagocitosi da parte dei macrofagi costituisce un processo altamente specifico a carico del materiale necrotico. In questa fase, i cilindri intatti della lamina basale circondano la parte necrotizzata della cellule sopravvissute che sono state lasciate intatte dagli attacchi dei macrofagi e che, conseguentemente, verranno utilizzate  come impalcatura (scaffold) all’interno del quale le cellule stallite in grado di sopravvivere, inizieranno la formazione di nuove miofibre ( Grounds, 1991; Hurme e Kalimo., 1992;  Hurme e Kalimo, 1991)  Un’affascinate dimostrazione dell’incredibile specificità e dell’alta coordinazione di questo processo, è data dal fatto che i macrofagi, nel momento stesso in cui  fagocitano i residui necrotici che  circondano le cellule satellite, inviano simultaneamente dei fattori di sopravvivenza specifici per queste cellule rigenerative (Chazaud e coll., 2003). E’ inoltre importante sottolineare, come il trauma lesionale comporti una contestuale rottura del reticolo sarcoplasmatico ed una conseguente fuoruscita degli ioni calcio in esso contenuti.  Il drastico aumento di ioni calcio all’interno delle fibra muscolare stessa determina, nelle 24-48 ore post-lesionali, una contrazione riflessa della miofibille all’interno e nei dintorni della zona di lesione. Questo fenomeno comporta una fase di autoaggravemento della lesione che si protrae  in funzione del periodo di contrazione muscolare riflessa dovuta a questa fase definita con il termine di  calcium overload” (Armstrong e col., 1991)

La fase di riparazione e rimodellamento e la rigenerazione delle fibre muscolari

 

Una volta che la fase di distruzione è diminuita d’intensità, inizia il reale processo di riparazione del muscolo lesionato, che si articola attraverso due  concomitanti processi che si dimostrano tra loro, allo stesso tempo,  complementari ed antagonisti : la rigenerazione delle miofibre distrutte e delle loro rispettive innervazioni e la formazione di tessuto di cicatrizzazione. Una progressione bilanciata di questi due processi, costituisce il pre-requisito essenziale per un ottimale ripristino delle funzioni contrattili del muscolo scheletrico (Hurme e Kalimo, 1991; Kalimo e coll., 1997).  Nonostante il fatto che  le fibre muscolari siano in linea generale considerate come fibre di tipo irreversibilmente post-mitotico, il comunque notevole potenziale rigenerativo del muscolo scheletrico è garantito da un meccanismo intrinseco in grado di ripristinare l’apparato contrattile lesionato. Di conseguenza, un pool di riserva di cellule indifferenziate, denominate cellule satellite, sono, durante lo sviluppo fetale, dislocate a parte  al di sotto della lamina basale di ogni singola fibra muscolare (Hurme e Kalimo, 1992; Kalimo e coll., 1997; Rantenen e coll., 1995). In risposta all’evento lesivo, queste particolari cellule, dapprima proliferano, in seguito si differenziano in mioblasti ed alla fine del processo,  si collegano con le restanti fibre  formando dei miotubi multinucleati.  I miotubi multinucleati di recente formazione si fondono, in un secondo tempo,  con la parte della fibra lesa che è sopravvissuta al trauma iniziale (Hurme e Kalimo, 1992). Infine, la parte di miofibra rigenerata acquisisce la sua forma matura con una normale striatura e con i mionuclei dislocati perifericamente (Hurme e Kalimo, 1992).  Curiosamente, in risposta a traumi molto blandi, come nel caso ad esempio una di singola elongazione eccentrica che provoca un trauma di lieve entità, le cellule satellite rispondono immediatamente, iniziando a proliferare ma, a causa della limitatezza del trauma e della rapida risposta “intrinseca” di riparazione da parte delle fibre del muscolo leso,  autobloccano la propria attivazione prima ancora   che si formino i mioblasti (Äärimaa e coll., 2004). Nel muscolo scheletrico maturo esistono almeno due popolazioni principali di cellule satellite (Jancowski  e coll., 2002; Kalimo e coll., 1997;  Qu-Petersen e coll., 2002; Rantanen e coll., 1995; Rouger e coll., 2004 ; Zammit e coll.,  2004). Le cellule satellite “classiche”, che risiedono al di sotto della lamina basale della fibra muscolare, possono infatti essere suddivise in “committed satellite cells”, cellule stallite che sono pronte a differenziarsi in mioblasti  immediatamente dopo l’evento lesivo, ed in  “cellule satellite staminali” (stem satellite cell), che debbono invece  essere prima sottoposte a divisione cellulare, per poi potersi  differenziare (Kalimo e coll., 1997; Rantanen e coll., 1995; Zammit e coll., 2004).  Attraverso questa divisione cellulare, la popolazione di stem satellite cells,  ricostituisce la riserva di cellule satellite per una futura possibile richiesta rigenerativa (Rantanen e coll., 1995; Zammit e coll., 2004). Tra queste popolazioni di cellule satellite, si può inoltre notare l’esistenza di una sottopopolazione di cellule capaci di differenziarsi, al di là delle linee miogeniche, non solamente in linee mesenchimali ma anche in quelle neurali od endoteliali (Jankowski e coll., 2002; Qu-Petersen e coll., 2002). Sino ad oggi, le cellule satellite erano ritenute la sola risorsa del mionucleo nel corso del processo di riparazione muscolare (Chargé e Rudnicki, 2004), recenti scoperte hanno invece  dimostrato la presenza di due  differenti popolazioni di cellule staminali multipotenti che possono contribuire alla rigenerazione del muscolo scheletrico lesionato: le “cellule staminali non-muscolo-residenti” e le “cellule staminali muscolo-residenti” (Chargé e Rudnicki, 2004).  Anche alcuni progenitori cellulari isolati dal midollo osseo (BM), il compartimento neuronale, e diversi tessuti mesenchimali, sono in grado di differenziarsi in linee miogeniche. Le cellule derivate dal BM, non solo contribuiscono alla rigenerazione delle fibre muscolari nel muscolo scheletrico lesionato ma sono anche in grado di reintegrare il pool delle cellule satellite nel muscolo scheletrico insultato (Labarge e Blau 2002). In ogni modo, è importante notare che la frequenza alla quale questi eventi accadono, sembra essere molto bassa (anche nel caso di lesione), se comparata con il numero di mioblasti rigenerati derivati dalle cellule satellite muscolo-rsidenti (Grounds e coll., 2002; LaBarge e Blau, 2002). Perciò è discutibile il fatto che le cellule staminali non-muscolo-residenti possano dare un significativo contributo alla rigenerazione del muscolo scheletrico lesionato (Ground e coll., 2002). Oltre alle cellule satellite classiche residenti nella parte più bassa della lamina basale, esiste un’altra distinta popolazione di cellule staminali collocata extra-laminarmente, all’interno del tessuto connettivo del muscolo scheletrico (Dreyfus e coll., 2004), in risposta ad un evento lesivo a carico del muscolo scheletrico, queste cellule prendono parte alla formazione dei mioblasti ed alla differenziazione in miotubi (Chargé e Rudnicki, 2004). Dopo che i cilindri della vecchia lamina basale sono stati riempiti con le miofibre rigenerate, le miofibre si estendono, attraverso l’apertura della lamina basale, verso il tessuto connettivo cicatriziale che si è formato tra i monconi sopravvissuti delle miofibre stesse (Hurme e coll., 1991; Kalimo e coll., 1997). Su entrambe le parti della cicatrice di tessuto connettivo, le miofibre ed i  monconi delle fibre sopravvissute, nel tentativo di passare attraverso la cicatrice che li separa, formano molteplici diramazioni, (Hurme e coll., 1991). Dopo aver cercato di estendersi, per una corta distanza, le diramazioni cominciano ad aderire al tessuto connettivo con le loro punte finali, formando delle mini MTJs con il tessuto cicatriziale. Con l’andare del tempo l’area cicatriziale progressivamente diminuisce nelle sue dimensioni, conducendo i monconi in ferma aderenza l’un con l’altro (Vaittinen e coll., 2002). Non è ancora comunque noto se i monconi delle fibre tranciate dalle opposte parti del tessuto cicatriziale, si fonderanno tra loro totalmente  alla fine  del processo rigenerativo o se, al contrario, rimarrà tra di loro qualche forma di setto di natura connettivale (Äärima e coll., 2004; Vaittinen e coll., 2002). E’ stato inoltre ampiamante dimostrato come  le capacità rigenerative del  muscolo scheletrico, in risposta ad un trauma, siano significativamente ridotte nel corso della vita (Järvinen e coll., 1983). Questa diminuzione della capacità rigenerativa  non è apparentemente attribuibile ad una diminuzione del numero o dell’attività delle cellule satellite (Järvinen e coll., 1983) ma piuttosto ad una complessiva diminuzione delle capacità rigenerative del muscolo anziano, tanto che,  ogni fase dei processi di riparazione, sembra rallentare e deteriorarsi con l’avanzare dell’età (Järvinen e coll., 1983).

 

La rivascolarizzazione del muscolo lesionato

 

Un processo fondamentale nell’ambito  della rigenerazione del muscolo lesionato è rappresentato dalla rivascolarizzazione dell’area insultata (Järvinen, 1976; Józsa e coll., 1980; Snow, 1973). Il ripristino della vascolarizzazione nell’area lesa rappresenta il primo segno di rigenerazione ed è un pre-requisito per i successivi recuperi morfologici e funzionali del muscolo leso. La nuova rete capillare trae origine  dai tronchi sopravvissuti dei vasi sanguigni che si dirigono verso il centro dell’area lesa (Järvinen, 1976) e vanno a fornire l’area stessa di un adeguato apporto di ossigeno permettendo, in tal modo, il successivo ripristino funzionale  del metabolismo aerobico, che rappresenta una tappa fondamentale nell’ambito del processo  di rigenerazione delle miofibre. I giovani miotubi sono forniti di  pochi mitocondri e posseggono solamente una moderata capacità nell’ambito del meccanismo di ripristino energetico aerobico ma hanno contestualmente chiaramente incrementato il meccanismo  di ripristino energetico anaerobico (Järvinen e Sorvari, 1978). Comunque, durante le fasi finali della rigenerazione, il metabolismo aerobico costituisce la principale risorsa energetica per le miofibre multinucleate (Järvinen e Sorvari, 1978). Questo particolare iter ripartivo, fornisce anche una plausibile spiegazione del perché la rigenerazione delle miofibre non progredisca oltre la fase precoce di formazione di sottili miotubi, sino a quando la crescita di una sufficiente rete capillare non riesca ad assicurare l’apporto di ossigeno necessario al ad un soddisfacente ripristino funzionale del meccanismo aerobico (Järvinen, 1976; Järvinen e Sorvari, 1978).

 

 

La rigenerazione dei nervi intramuscolari

 

In modo simile a quanto avvienga nel corso del  processo di rivascolarizzazione, la rigenerazione del muscolo scheletrico può essere anche bloccata da un fallimento nella rigenerazione dei nervi intramuscolari (Hurme e coll, 1991 ; Rantanen e coll., 1995; Vaittinen e coll., 1999; Vaittinen e coll., 2001). La rigenerazione della miofibra continua dalla fase di formazione dei miotubi anche in assenza dell’innervazione ma, se l’innervazione non fosse completata correttamente, subentrerebbe inevitabilmente un processo di atrofizzazione (Rantanen e coll., 1995).   In caso di denervazione neurogenica, ossia di rottura dell’assone, il processo di reinnervazione richiede le ricrescita di un nuovo assone distalmente rispetto alla zona di rottura. Tuttavia, dal momento che gli assoni usualmente subiscono una rottura all’interno o nelle vicinanze del muscolo, il contatto nervo-muscolo viene, in genere, rapidamente ristabilito (Kalimo e coll., 1997).

 

 

Figura 7: rappresentazione schematica di un trauma da rottura del muscolo scheletrico. Le fibre muscolari lesionate si contraggono e il gap tra i monconi (la zona centrale CZ) inizialmente comincia ad essere riempito dall’ematoma. Le fibre muscolari sono necrotizzate all’interno della loro lamina basale, su di una distanza che è  compresa tra circa 1 e 2 millimetri.  All’interno di questo segmento generalmente, col tempo, si verifica una rigenerazione completa (zona di rigenerazione RZ), mentre nella parte di muscolo che non viene direttamente lesa dal trauma, si osservano soltanto dei cambiamenti di tipo reattivo (zona di sopravvivenza SZ). Ogni fibra muscolare è innervata, in un singolo e ben preciso sito, da una giunzione neuromuscolare (NMJs, punto pieno nello schema). Dal momento che le fibre muscolari si rompono generalmente dall’una o dall’altra parte rispetto alla fila di NMJs delle adiacenti fibre , i monconi accessori della fibra 1 e delle fibre che vanno dalla 3 alla 5,  del lato “ad » (destro), rimangono innervati, mentre i loro monconi accessori dal lato “ab” (sinistra), restano denervati. Nello stesso tempo il moncone accessorio della fibra 2 è rimasto denervato, perché la sua NMJ si trova nella zona RZ. La re- innervazione del moncone accessorio avverrà attraverso la penetrazione di una nuova germogliazione assonale attraverso la zona cicatriziale in formazione (CZ) e quindi grazie alla formazione di una nuova NMJ nella zona SZ diametralmente opposta (rappresentata dal punto bianco nello schema). La fibra 2 ritornerà alla sua normale reinnervazione quando il processo rigenerativo nella zona RZ arriverà a completamento.

 

 

 

Figura 1: serie ecografica  effettuata a livello del 1/3 medio della componente muscolare del vasto mediale in un soggetto ventenne calciatore, in esiti di trauma lacerativo, che evidenzia la presenza di una sottile quota fluida paracentrale ipoanecogena di 31X7X4 mm, nel cui contesto si rilevano ponti di fibrina e micro focolai di organizzazione della raccolta siero ematica. L’esame ecotomografico è stato effettuato a 40 giorni dall’evento lesivo, il soggetto non aveva effettuato nessun tipo di trattamento FKT.

                                      

 Ringraziamenti

L’autore ringrazia Andrea Bisciotti per i disegni e la parte grafica ed il Dr. Pier Paolo Lello per aver gentilmente messo a disposizione la serie ecografica riportata nel testo.

BIBLIOGRAFIA

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