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Traumatologia sportiva
 
 
L’utilizzo dei fattori di crescita
nelle lesioni dei tessuti molli in traumatologia dello sport
Gian Nicola Bisciotti Ph.
 

Introduzione

L’uso dei fattori di crescita ( GF) nel trattamento delle lesioni da sport e’ una pratica in continua espansione, a tal punto che, non solamente la comunità scientifica ma anche i media, stanno dimostrando una crescente attenzione su questo nuovo metodo di trattamento. (Schwarz, 2009)
Il marcato incremento dell’utilizzo nell’ambito della medicina sportiva di questa innovativa terapia, è principalmente basato su di una larga aneddotica di buoni risultati e trova un suo razionale di applicazione sia nel trattamento di patologie chirurgiche in sede intraoperatoria, che nella cura di patologie muscolo-tendinee già trattate attraverso un metodo conservativo. A fare da contraltare all’ entusiastico sviluppo ed alla diffusione di tale metodica , vi e’tuttavia una scarsa evidenza scientifica. In effetti , nonostante il fatto che la ricerca sulla terapia con i GF abbia fatto registrare, negli ultimi anni, una decisa ed indubbia accelerazione, vi sono relativamente pochi studi clinici randomizzati presenti in letteratura e la situazione è comunque tale da giustificare la richiesta di ulteriori approfondimenti soprattutto su alcuni particolari aspetti della terapia basata sull’utilizzo dei GF.
Inoltre, l’impiego dei GF da parte di atleti professionisti, e’ ostacolato dalla posizione della WADA, l’agenzia mondiale antidoping, che continua a mantenere una posizione decisamente ambigua, vietandone l’uso come prodotto derivato dal plasma estratto, lavorato e re-iniettato (WADA, 2009) ma prendendo, nello stesso tempo, in considerazione eventuali esenzioni per uso terapeutico (TUE) (Hamilton, 2009). Rimane comunque poco chiaro quali siano le giustificazioni terapeutiche che possano portare alla decisione di accettare una TUE, considerando l’assenza di evidenza scientifica del trattamento in questione.
Non possiamo, infine, non prendere in considerazione le enormi potenzialità economiche legate al trattamento con GF, che hanno indotto molti operatori ad intraprendere un loro utilizzo massivo, soprattutto per ciò che concerne le patologie croniche degenerative, vero tallone d’Achille dell’attuale stato dell’arte della medicina muscoloscheletrica, troppo spesso però con palese noncuranza nei confronti della scarsa evidenza scientifica a riguardo della metodica in questione.
A tutt’oggi, secondo alcuni Autori , questa tecnica viene considerata in grado di rivoluzionare, non soltanto la traumatologia dello sport ma anche l’ortopedia in generale.

La tecnica PRP

I GF costituiscono un eterogeneo gruppo di proteine (peptidi) secrete da differenti tessuti (tessuto connettivo, cellule staminali eritropoietiche, globuli bianchi, piastrine e organi come il fegato), con una breve emivita biologica (Everts e coll., 2006) e che quindi presentano un effetto prevalentemente locale (Leitner e coll., 2006).
In letteratura sono presenti numerosi studi, effettuati sia sull’animale, che sull’uomo, basati sull’utilizzo di diversi tipi di GF in differenti tessuti che, in considerazione del ruolo cruciale delle piastrine nella riparazione tissutale, utilizzano i fattori di crescita piastrinici. (Hidebrand e coll., 1998; Evans, 1999; Molloy et al, 2003; Efthimiadou e coll., 2006; Gigante e coll., 2008).
In quest’ambito sono state sviluppate diverse metodologie, di cui la più diffusa consiste in una doppia centrifugazione del sangue intero, la prima per separare plasma da piastrine, la seconda per ottenere plasma ad alta concentrazione piastrinica (PRP), seguita dall’ utilizzo di un anticoagulante dopo il prelievo (destrosio citrato A) e di un attivatore delle piastrine (calcio e trombina) prima dell’iniezione nel tessuto leso (Marx, 2004) Grazie a questa procedura, e’ possibile ottenere una maggiore concentrazione dei diversi fattori di crescita piastrinici rispetto al sangue intero. E’ importante a questo punto ricordare, che i fattori di crescita di derivazione piastrinica sono rappresentati da un gruppo composito di proteine, quali il plateled-derived-growth- factor (PDGF), il vascular-endothelian-growth-factor (VEGF), il transforming-growth-factor ?1 (TGF-?1), l’epidermal-growth-factor (EGF) ed il basic-fibroblast-growth-factor (bFGF). Inoltre, è opportuno menzionare il fatto che la terapia basata sulla tecnica PRP, prevede anche la contestuale somministrazione, oltre ai fattori di crescita sopramenzionati, di insulin-like-growth-factor-1 (IGF-1) nella sua forma non-coniugata. Questo, come vedremo in seguito, costituisce uno dei punti cardine della polemica deontologica sulla liceità della tecnica PRP stessa. In ogni caso, esistono da tempo sufficienti evidenze scientifiche che mostrano come i GF sino ad ora menzionati, siano presenti nel corso delle varie tappe che si registrano a fronte della riparazione biologica di un tessuto muscolare insultato (Burkin e Kaufman, 1999; Mishra e coll., 1995), e come la loro espressione possa essere indotta, nell’ambito del muscolo scheletrico, anche da stimoli fisiologici simili a quelli che causano le lesioni micro-traumatiche, come i fenomeni di overstretching oppure in seguito ad eventi relativi a carichi meccanici esterni non consoni (Burkin e Kaufman 1999; Perrone e coll., 1995).

L’utilizzo clinico del PRP

Sebbene gli studi condotti sull’ animale e sull’ uomo, riguardanti l’efficacia della tecnica PRP nell’ambito della cura delle lesioni muscolari e tendinee, effettuati finora, siano pochi, essi mostrano risultati più che incoraggianti. Si sono infatti riscontrati miglioramenti della riparazione tissutale pari al 30% (Aspenberg e coll, 2004) con un aumento della forza tendinea riscontrabile in un periodo compreso tra i sei ed i dodici mesi (Taylor, 2002). Si e’ inoltre ipotizzato come il meccanismo di riparazione tendinea possa essere indirettamente favorito da una precoce ripresa della stimolazione meccanica sul tendine stesso, dovuta all’impiego dei GF (Virchenko e coll., 2006).
Inoltre, in studi condotti sull’ animale, si sono riscontrate delle riduzioni dei tempi di recupero anche per ciò che concerne le lesioni muscolari, specialmente nelle fasi riparative precoci (Menetrey e coll., 2000; Carda e coll., 2005; Hammond e coll., 2009). Tuttavia, gli studi condotti sull’uomo sono comunque relativamente pochi ed inoltre la maggior parte di essi, essendo costituiti da serie anedottiche o da studi non controllati, mancano di una solida struttura scientifica (Tabella 1)

Specie

Tessuto

Tipo di studio

Autori

Anno

Patologia

Risultati principali

Umana

fascia plantare

studio pilota non controllato

Barrett e al

2004

fascite plantare

66% risoluzione completa a 2 mesi

 

muscolo

case report

Sanchez e al

2005

lesione muscolare

tempi di recupero dimezzati rispetto ai controlli

 

tendine

case report

Sanchez e al

2005

lesione tendine d'Achille

riduzione dei tempi di recupero del 33%

 

tendine

studio randomizzato controllato

Mishra e al

2006

epicondilite laterale

riduzione 60% VAS a 8 settimane vs 16% dei controlli

 

tendine

studio non randomizzato

Sanchez e al

2007

lesione tendine d'Achille

riduzione dei tempi di recupero del 33%

Animale

muscolo

studio controllato di laboratorio

Menetrey et al

2000

lesione muscolare

miglioramento della riparazione tissutale

 

muscolo

studio controllato di laboratorio

Carda et al

2005

lesione muscolare

miglioramento della riparazione tissutale a 6 giorni

 

muscolo

studio controllato di laboratorio

Hammond et al

2009

lesione muscolare

migliora il tempo di recupero

 

tendine

studio controllato di laboratorio

Taylor

2002

lesione tendine rotuleo

aumento forza tendini a 6 e 12 mesi

 

tendine

studio controllato di laboratorio

Aspenberg et al

2004

lesione tendine d' Achille

miglioramento del 30%

 

tendine

studio controllato di laboratorio

Virchenko et al

2006

lesione tendine d'Achille

ripresa precoce della stimolazione meccanica

 

tendine

studio controllato di laboratorio

Kajikawa et al

2008

lesione tendine rotuleo

miglioramento della circolazione nelle fasi iniziali

 

tendine

studio controllato di laboratorio

Likras et al

2009

lesione tendine rotuleo

miglioramento nelle prime fasi della rigenerazione tendinea

 






Tabella 1 : sommario riassuntivo degli studi presenti in letteratura nei quali sono stati utilizzati GF, su modello umano od animale, nel corso di processi di riparazione a carico di muscoli o tendini.

E’ ben noto come i tendini posseggano un basso rateo metabolico, fatto che, di per se, non favorisce un accelerato recupero in caso di lesione; per questo motivo riveste un importante interesse clinico il fatto che sia stato comunque dimostrato, come i GF possano stimolare la riparazione tendinea (Molloy e coll., 2003). Sulla base dei risultati ottenuti in vitro, che hanno dimostrato una accelerazione della riparazione tissutale - grazie ad un aumento cellulare locale, dell’angiogenesi e ad una diminuzione della fibrosi (Anitua e coll., 2006, Anitua e coll., 2007)- Sanchez e coll. (Sanchez e coll., 2007) hanno investigato in vitro l’effetto del PRP sul tendine d’Achille, dimostrando una riduzione dei tempi di recupero per una percentuale d’incremento pari a circa il 33%.
Gran parte della patologia tendinea nelle lesioni da sport, e’ rappresentata dalle tendinopatie, che costituiscono un vero punto debole nell’ambito della medicina dello sport, in quanto patologie difficili da trattare, con lunghi tempi di recupero ed outcome incerti. Considerati anche i buoni risultati ottenuti dal trattamento con iniezione locale di sangue autologo per il trattamento dell’epicondilite mediale (Suresh e coll., 2006), si e’ ipotizzato che i GF possano costituire un trattamento rivoluzionario per queste lesioni prive di un vero e proprio trattamento d’elezione. I GF sembrerebbero giocare un ruolo importante nella ricostituzione di una corretta architettura tissutale, questa ipotesi sembrerebbe confermata da una recente ricerca (Mishra e coll., 2006), che mostrerebbe come si possano ottenere importanti miglioramenti nel trattamento dell’epicondilite laterale del gomito, a breve ed a lungo termine, grazie all’utilizzo di PRP.
Buoni risultati sono stati ottenuti grazie all’applicazione dei PRP anche nella fascite plantare, con una risoluzione completa a due mesi nei 2/3 dei pazienti, sebbene sia giusto sottolineare che si tratta di uno studio pilota non controllato (Barret e coll., 2004).
Diversi trials sono comunque in atto, anche il nostro gruppo sta attualmente investigando, tramite uno studio in doppio cieco randomizzato, sull’ utilizzo dei PRP nelle lesioni muscolari a carico degli ischio crurali in atleti di varie discipline sportive. I risultati preliminari sono incoraggianti, dimostrando una riduzione dei tempi di recupero; questo dato, se confermato, sarebbe di grande importanza, considerando come le lesioni muscolari, agli ischiocrurali in particolare, rappresentino l’infortunio maggiormente frequente nell’ambito del calcio (Ekstrand e coll., 2009).

I potenziali effetti collaterali

I rischi legati all’invasività che la tecnica implica possono essere limitati da una corretta esecuzione della procedura, soprattutto per ciò che concerne la sterilità.
Inoltre, l’utilizzo di sangue autologo garantisce l’eliminazione del pericolo di reazioni allegiche e/o infezioni (Creaney e coll., 2008); i preparati di origine bovina, precedentemente utilizzati, talvolta responsabili di coagulopatie potenzialmente letali (Sanchez e coll., 2003) sono stati ritirati dal commercio.
Non sembra che la somministrazione locale di GF possa avere un effetto sistemico, sebbene ci siano pochi lavori scientifici pubblicati in letteratura che supportino questa tesi. Un gruppo italiano (Banfi e coll., 2006) ha investigato la presenza di GF in circolo dopo la somministrazione locale e, nonostante un numero limitato di soggetti (n=5), non si e’ rilevata alcuna differenza a livello sistemico tra i soggetti trattati con GF ed i controlli.
Per ciò che riguarda il potenziale effetto cancerogeno dei GF, allo stato attuale, non vi sono evidenze che possano sostenere tale meccanismo patogenetico. Infatti, i GF, non penetrando la membrana cellulare, non sono in grado di generare mutazioni del DNA ed, attualmente , non sono noti altri meccanismi carcinogenetici (Marx 2004).
Come accennato precedentemente, i rischi di possibili complicazioni locali come degenerazione tissutale, alterazione dell’architettura muscolare , maggior rischio di infortunio recidivante, sembrerebbero essere scongiurati dai risultati degli studi finora portati a termine, oltre che non sostenuti dalle basi biologiche e fisiologiche del meccanismo di azione dei GF stessi. Una considerazione a parte sembrerebbe meritare la problematica inerente l’eccessivo aumento di tessuto cicatriziale di natura connettivale ed il conseguente esito fibrotico. Il principale regolatore del processo di formazione fibrotica, nel corso della riparazione del tessuto muscolare, è rappresentato dal TGF-?1, che costituisce appunto il fattore di regolazione tra il processo di riparazione e quello di formazione fibrotica (Chan e coll., 2003). Per questo motivo appare lecito ipotizzare che uno scorretto, od eccessivamente protratto, utilizzo di PRP, possa portare ad un incremento della produzione fibrotica e ad un conseguente outcome negativo per ciò che riguarda la ripresa funzionale del paziente (Creaney e Hamilton, 2008).
Per ciò che riguarda invece l’aspetto deontologico, precedentemente accennato, riguardante la liceità dell’utilizzo del PRP nell’ambito delle lesioni muscolari dell’atleta, occorre sottolineare il fatto che l’elemento di disputa maggiormente rappresentativo in quest’ambito, è costituito dalla presenza di IGF-1 contestuale alla somministrazione di PRP. Tuttavia, tre punti fondamentali sembrerebbero avvallare la liceità di tale tecnica, il primo è costituito dal fatto che la forma non-coniugata di IGF-1 presenta un tempo di emivita troppo breve per poter sortire degli effetti sistemici di tipo ergogenico, il secondo punto si basa sul fatto che l’isoforma di IGF-1 presente del PRP (IGF-1Ea) non rappresenta l’isoforma maggiormente responsabile del fenomeno anabolico a livello della muscolatura scheletrica ed, in ultimo, le dosi di IGF-1 somministrate nell’ambito del normale protocollo PRP, costituiscono un dosaggio sub-terapeutico nei confronti di un suo possibile effetto anabolizzante (Creaney e Hamilton, 2008).

La somministrazione combinata di fattori di crescita e fattori angiogenetici nel danno muscolare ischemico.

I normali processi di rigenerazione tissutale in un muscolo scheletrico lesionato, possono essere fortemente inficiati –sino a giungere ad una seria compromissione del recupero funzionale- in caso di ischemia tissutale, età avanzata (Grounds, 1998; ), traumi muscolari severi in un contesto di difetto genetico, come ad esempio nel caso di distrofia muscolare (Gussoni e coll., 2002).
Le principali strategie nel campo della rigenerazione del tessuto muscolare, sono attualmente rappresentate dalla terapia cellulare, da quella farmacologica, oppure, da una combinazione di questi due diversi approcci. La terapia cellulare effettuata sia attraverso l’iniezione diretta di cellule nel sito di lesione tissutale (Partrige e coll., 1989), oppure attraverso il trapianto di progenitori cellulari su scaffold polimerici (Saxena e coll., 1999; Levenberg, 2005), è generalmente e tipicamente limitata dal basso tasso di sopravvivenza della maggioranza delle cellule trapiantate e/o dalla insufficiente integrazione del tessuto impiantato all’interno del tessuto ospite. Per questo motivo, i sistemi polimerici biodegradabili sono stati espressamente concepiti per fornire un sostegno biologico locale al rilascio di GF (Lee e coll., 2000).
Tuttavia, in questi casi assume un’importanza primaria un approccio morfogenetico plurifattoriale nell’ambito del processo rigenerativo tissutale, in modo tale da indirizzare quest’ultimo verso un recupero anatomico e funzionale ottimale (Richardson, 2001). In questo campo alcuni interessanti studi hanno evidenziato come il Vascular Endothelian Growth Factor (VEGF) giochi un ruolo importante nell’ambito della rigenerazione del tessuto muscolare traumatizzato (Messina e coll., 2007; Kärkkäinen e coll., 2009; Deasy e coll., 2009).
In questi sudi sperimentali viene evidenziato il fatto che un costante rilascio di VEGF, ottenuto grazie a specifici sistemi di rilascio polimerico, sia fondamentale per il processo di neovascolarizzazione nell’ambito di un tessuto muscolare ischemico (Richardson e coll., 2001; Silva e Mooney, 2007). Altri recenti studi hanno dimostrato come il VEGF contribuisca al mantenimento qualitativo della struttura del muscolo scheletrico in un modello murino affetto da distrofia muscolare, suggerendo in tal modo che il VEGF possa ricoprire un importante ruolo nell’ambito della rigenerazione tissutale del muscolo in seguito a trauma (Kärkkäinen e coll., 2009; Deasy e coll., 2009). In particolare sembrerebbe che il VEGF sia in grado di promuovere la vascolarizzazione aumentando, in tal modo, la disponibilità di vasi sanguigni associati alle cellule staminali (Dellavalle e coll., 2007; Crisan e coll., 2008). A questo proposito è importante ricordare i risultati di un recente studio (Borselli e coll., 2009) che sottolineano come i processi di rigenerazione in un distretto muscolare ischemico in seguito a trauma, vengano ottimizzati dalla somministrazione contestuale di VEGF ed IGF-I. Ricordiamo che l’IGF-I è fortemente implicato durante la fase precoce del processo di sviluppo muscolare assumendo, in un primo momento, un importante ruolo nell’indurre la proliferazione mioblastica, ed in un secondo tempo, promuovendo la differenziazione miogena (Rosenthal e Cheng,1995; Enger e coll., 1996).
La somministrazione contemporanea di VEGF ed IGF-I sembrerebbe, indurre un sostanziale miglioramento non solamente nei processi di rigenerazione e rivascolarizzazione muscolare, od in quelli di necrosi secondaria ad ischemia, ma anche in quelli di reinnervazione (Borselli a coll., 2009). In effetti, la contrattilità muscolare – e di conseguenza le capacità funzionali del muscolo stesso – sono regolate dal sistema nervoso e, per questo motivo, un deficit d’innervazione – dovuto ad una degenerazione degli assoni presinaptici causata dal quadro ischemico - comporta un decremento numerico delle cellule satellite contestuale ad un’atrofia muscolare (Schratzberger e coll., 2000). Questi risultati indurrebbero ad avvallare la già formulata ipotesi dell’esistenza di precursori miogeni diversi dalle cellule satellite – come ad esempio le cellule mioendoteliali – dotati di potenziali multipotenti, inculsa la capacità d’indurre un’alto potenziale rigenerativo muscolare (Dellavalle e coll., 2007; Zheng, 2007; Crisan e coll., 2008).

I possibili fattori limitanti la terapia con PRP

Ormai molte case produttrici nell’ambito dell’ortopedia e della medicina sportiva hanno introdotto sul mercato mondiale diversi tipi di kit commerciali ognuno dei quali vanta la miglior quantità e qualità di PRP. La problematica di base risiede nel fatto che ogni diverso metodo di concentrazione delle piastrine comporta la produzione di un prodotto con differenti potenzialità biologiche e di diverso utilizzo potenziale (Dan e coll, 2010). Con la maggior parte delle tecniche si ha una resa, in termini di concentrazione di PRP, pari approssimativamente al 10% del volume totale di sangue prelevato – ossia per una media di prelievo di 20 ml si ottengono approssimativamente 2 ml di PRP. Tuttavia, i diversi prodotti così ottenuti presentano delle enormi differenze sia per ciò che riguarda la concentrazione dei diversi fattori di crescita –che può variare da 3 a 27 volte rispetto alla concentrazione normalmente ritrovabile nel sangue – che per la loro cinetica di rilascio (Dohan Ehrenfest e coll., 2009; Mazzucco e coll., 2009). - Queste sostanziali differenze potrebbero anche essere imputabili alla gestione clinica della tecnica ma, in ogni caso, in bibliografia mancano degli studi specifici a riguardo (Dohan Ehrenfest e coll., 2009). In linea teorica anche dei prodotti che contengano una concentrazione di piastrine moderatamente elevata, potrebbero essere in grado di indurre degli effetti biologici ottimali in termini di riparazione tissutale, nel contempo, una concentrazione eccessivamente ridotta di piastrine porterebbe ad un effetto biologico sub massimale in termini di efficacia, mentre un’eccessiva concentrazione piastrinica potrebbe indurre degli effetti di tipo inibitorio (Anitua e coll., 2006; Graziani e coll., 2006).Alcuni autori hanno avanzato l’ipotesi che la dose terapeutica dei PRP debba essere perlomeno da quattro a sei volte maggiore rispetto alla normale conta piastrinica (Weibrich e coll., 2004; Marx, 2004). Tuttavia, questo semplice indicazione si trova a dover considerare il fatto che il contenuto dei GF, sia nel sangue intero che nel PRP , non è fortemente correlato con la conta piastrinica e che, inoltre, non vi sia nessuna evidenza del fatto che il genere, o l’età, possano influenzare la conta piastrinica o la concentrazione dei GF (Weibrich e coll., 2002). Questo, ovviamente, costituisce un ulteriore fattore di dubbio nell’ambito di una corretta valutazione terapeutica. In bibliografia ritroviamo, in effetti, pochi studi che abbiano categorizzato le differenti concentrazioni piastriniche in funzione del fatto che siano o meno presenti, nei diversi preparati, globuli bianchi (WBC).
In base a quest’ultimo parametro, ossia l’assenza o la presenza di WBC, i vari preparati possono essere classificati in : Pure Platelet-Rich Plasma (P-PRP) nei quali i WBC sono stati espressamente eliminati dal PRP, oppure Leuococyte and Platelet-Rich Plasma (L-PRP), in cui nel PRP sono ancora contenuti WBC (Dohan Ehrenfest e coll., 2009). Questo proposito occorre però anche sottolineare la possibile difficoltà da parte del kit di preparazione nel differenziare i WBC dal PRP. Allo stato attuale delle conoscenze in merito ai processi riparazione biologica tissutale, è impossibile generalizzare se i WBC abbiano un effetto negativo o positivo su questi ultimi senza considerare la specificità tissutale e le diverse condizioni cliniche (Dan e coll., 2010). Soprattutto, dato che il contenuto di WBC ed i suoi effetti biologici nelle varie preparazioni non sono mai stato verificati e studiati sistematicamente, l’opportunità di somministrare o meno L-PRP, deve essere ancora attentamente verificata ed approfondita. In effetti, se da un lato è di conoscenza comune il fatto che i neutrofili promuovano un ulteriore aggravamento del danno biologico nelle prime fasi post-lesionali, dall’altro non vi è, allo stato attuale delle
conoscenze, nessuna prova diretta che questi ultimi possano svolgere un ruolo benefico nell’ambito della rigenerazione o della riparazione tissutale post-traumatica (Anitua e coll., 2006; Tidball, 2005). Occorre inoltre ricordare che l’iniezione di L-PRP, a seguito di lesione dei tessuti molli, può causare una sintomatologia algica maggiore rispetto all’iniezione di PRP, anche se alcuni studi riportano di come il L-PRP sia in grado di ridurre il dolore post-operatorio (Asfah e coll., 2007). Quindi, anche se, le piastrine di per sé sono in grado di ridurre la sintomatologia algica, il contributo dei WBC nell’ambito della globalità dei processi biologici di riparazione, rimane ancora da chiarire (Everts e coll., 2008).
Il razionale di base del trattamento basato sull’iniezione in loco di PRP, concettualmente si basa sul assunto che tutte le varie fasi del processo di riparazione e/o rigenerazione tissutale siano controllate da una grande varietà di citochine e GF, che, utilizzando il sistema endocrino , paracrino , autocrino ed intracrino , agiscono localmente come dei regolatori della maggior parte delle funzioni cellulari di base (Anitua e coll., 2006).
Oltre il 95% dei GF vengono secreti nell’arco di un’ora dall’attivazione degli ? granuli , dopo questo primo picco di PRP, e di relativi GF, le piastrine sintetizzano e secernono, per i restanti 7-10 giorni della loro vita, dei fattori di crescita supplementari (Marx, 2004; Sampson e coll., 2008). Il sangue, e quindi anche l’ ematoma chi si forma a livello del gap lesionale, contiene circa il 94% di globuli rossi (RBC), una modesta quota di piastrine che rappresenta circa il 6% ed una quantità ancor più ridotta -meno dell’1% - di leucociti. Il razionale di utilizzo del PRP è quello di, sostanzialmente, rovesciare il rapporto fisiologico RBC/piastrine, diminuendo i primi – in quanto ritenuti meno importanti ai fini riparativi tissutali – ad una quota di circa il 5%, aumentando contestualmente le piastrine – ritenute al contrario fondamentali per i processi riparativi – al 94% (Sánchez e coll, 2009).
Come già precisato precedentemente i principali GF presenti nel concentrato di PRP sono il Transforming Growth Factor -1, il Platelet-Derived Growth Factor, il Vascular Endothelial Growth Factor, l’Epithelial Growth Factor, l’Hepatocyte Growth Factor e l’Insulin-Like Growth Factor 1 (Sánchez e coll., 2007; Akeda e coll., 2006). Solamente negli ultimi anni il mondo scientifico ha riconosciuto la necessità di concentrarsi sullo studio dei diversi pathways di segnalazione che richiedono una somministrazione bilanciata di mediatori biologici, rendendosi in tal modo conto di come un solo ed isolato GF non possa obbiettivamente soddisfare le molteplici richieste fisiologiche di un tessuto muscolare leso in fase di riparazione. Ad oggi il PRP è stato utilizzato per migliorare le capacità riparative meniscali (Ishida e coll., 2007), nelle lesioni muscolari ((Wright-Carpenter, 2004; Hammond e coll., 2009), nella stimolazione condrocitaria nell’ambito dell’ingegneria tissutale cartilaginea (Akeda e coll., 2006), nella gonartrosi (Sánchez e coll., 2008), nel miglioramento degli out-comes in seguito ad artoplastica totale di ginocchio (Everts e coll., 2007), dopo decompressione subacromiale (Wright-Carpenter e coll., 2004; Everts e coll., 2008), per accelerare la formazione ossea (Kawasumi e coll., 2008), nello stimolare la riparazione del legamento crociato anteriore - sia del punto di vista ripartivo che dopo intervento ricostruttivo - (Murray e coll., 2006; Fleming e coll., 2009), nel tentativo di migliorare gli outcomes in seguito a rottura del tendine Achilleo riparata chirurgicamente (Sánchez e coll., 2007), per prevenire ed invertire la degenerazione discale (Nagae e coll., 2007), anche se in alcuni casi non mancano studi sulla loro inefficacia come ad esempio nel caso di tendinopatia cronica dell’Achilleo (De Vos e coll., 2010). A dispetto di questa notevole moli di dati, è curioso dover ammettere come, in effetti, manchino sostanzialmente degli studi basati su “ randomised controller trials”, ed altresì di come in sostanza siano veramente pochi i trials che possano vantare un’analisi statistica sufficientemente potente ed adeguata e un’ appropriata misurazione degli outcames contestuale ad un consono follow-up. Alcuni Autori avanzano la lecita eccezione di come una cascata di eventi, come quella che normalmente si verifica durante i naturali processi di riparazione biologica tissutale, frutto di milioni di anni di selezione filogenetica, possa essere migliorata grazie alla semplice somministrazione di un “cocktail” di fattori di crescita (Dan e coll., 2009), facendo inoltre presente che nonostante la plausibilità della tecnica, la vasta aneddotica e l’enorme quantità di favorevoli studi sia retrospettivi, che prospettici, manchino sostanzialmente indagini di primo livello.

Conclusioni.

I recenti progressi nella comprensione del meccanismo di azione dei GF ed i risultati degli studi finora portati a termine, prospettano un ruolo fondamentale di questi ultimi nel futuro della traumatologia dello sport. Come accennato precedentemente, l’applicazione locale di PRP sembra accelerare il processo di riparazione tissutale, esercitare un effetto antiinfiammatorio e antimicrobico e sembra comportare una riduzione della sintomatologia algica (Sanchez e coll., 2009). Inoltre, la semplificazione della tecnica ha reso accessibile a tutti gli operatori il trattamento delle lesioni da sport tramite GF. E’ necessario però non farsi trascinare dall’entusiasmo dei pur rilevanti successi ottenuti fino ad ora, in quanto molta strada deve essere ancora percorsa sotto diversi punti di vista. Innanzitutto deve essere ancora rafforzata l’evidenza scientifica dell’efficacia del trattamento nelle lesioni da sport; ulteriori studi sono inoltre necessari per confermarne la sicurezza, soprattutto a lungo termine, di questo tipo di approccio terapeutico.
Anche la tecnica stessa deve essere perfezionata e standardizzata, prodotti differenti sono presenti attualmente sul mercato e ulteriori studi devono essere effettuati per investigarne la reale efficacia e sicurezza. Non da ultimo, è importante sottolineare come, ovviamente, la tecnica non possa essere sviluppata in maniera appropriata nel campo della medicina dello sport, fino a quando non sia modificata l’attuale posizione della WADA. Infine, un punto basilare nel raggiungimento di un indiscutibile valenza scientifica della terapia basata sulla somministrazione di PRP, è indubbiamente rappresentato dall’impegno profuso nella ricerca al fine di produrre adeguati studi di primo livello che mostrino risultati pertinenti ed inequivocabili, corroborati da corrette valutazioni cliniche ed appropriati follow-up.

 

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