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Argomento:
Traumatologia sportiva
Data:
Testata:
Sport e Medicina
 

Il salto come metodo diagnostico della riabilitazione funzionale

Gian Nicola Bisciotti Ph. D.

Facoltà di Scienze dello Sport, Università Claude Bernard, Lione (F).
Preparatore atletico FC Internazionale, Milano (I)

Il salto nell’uomo costituisce un movimento che potremmo definire "occasionale", molto più legato ad un modello prestativo in ambito sportivo di quanto non lo sia nella quotidianità dei movimenti che normalmente effettuiamo. L'impossibilità di saltare non ci precluderebbe poi molto in termini di qualità di vita e senz’altro risulterebbe molto meno problematico di quanto sarebbe il non poter più camminare, d’altro canto sono più che convinto che, vista la sedentarietà dilagante nel nostro stile di vita, molti sedentari incalliti dovrebbero andare molto indietro nel tempo per avere memoria di aver saltato. Al di là di questo, il balzo è stato da sempre uno degli argomenti maggiormente " vivivisezionati " da biomeccanici e fisiologi, probabilmente perché il salto costituisce nel nostro immaginario collettivo il movimento "esplosivo" per eccellenza. Già nel 1921 Seargent codificò quello che divenne poi uno dei test più famosi ed utilizzati nel campo valutativo: il Seargent test. Il protocollo del test prevedeva che l’atleta effettuasse un CMJ e toccasse con la punta delle dita una scala centimetrata affissa alla parete, la differenza tra l’altezza raggiunta e quella di partenza, preventivamente misurata, forniva in modo discretamente corretto l’altezza del salto.

 

Figura 1: il Saergent test, ideato nel 1921.

Nel 1938 Abalakov ideò un semplice ma ingegnoso congegno che permetteva di misurare l’altezza del salto in modo agevole e sufficientemente preciso, se vogliamo, una versione rivista e corretta del test di Saergent; si trattava di una fettuccia centimetrata fissata alla cintura dell’atleta avvolta in un rullo girevole che si svolgeva durante l’azione di salto misurandone in tal modo l’altezza.

 

Figura 2: il dispositivo ideato da Abalakov nel 1938 per misurare l’altezza di salto.

Solamente con l’avvento delle piattaforme dinamometriche, particolari e specifici dispositivi che sono grado di misurare le forze accelerative durante un movimento come il salto, si poterono effettuare i primi protocolli di lavoro che, su base scientifica, indagarono i principi biomeccanici del salto,tra i primi studi che utilizzarono questo tipo d’indagine, particolarmente significativi sono quelli di Cavagna e coll. datati 1971 (1)

Che cosa è una piattaforma dinamometrica

La piattaforma dinamometrica è costituita da una base, normalmente di forma rettangolare o quadrata, ma ne esistono anche di forme diverse come triangolari od esagonali, che trasmette la sollecitazione esercitata dall’atleta su di essa, ad un secondo elemento, i trasduttori di forza. I trasduttori di forza, il cui numero è normalmente eguale al numero dei lati del basamento, hanno il compito di registrare la frazione del carico totale che viene trasmesso a terra dall’atleta tramite il basamento stesso. Nel momento in cui saliamo su di una piattaforma dinamometrica, lo strumento registrerà un segnale equivalente al nostro peso, comportandosi né più né meno come una semplice bilancia; vediamo da ora in poi che cosa registrerà lo strumento in rapporto ai due tipi di salto di norma maggiormente indagati, ossia il salto preceduto da un piegamento delle gambe a 90°, chiamato anche Counter Movement Jump (CMJ) ed il salto effettuato da una posizione di partenza statica con le gambe piegate a 90°, altrimenti chiamato Squatting Jump (SJ).

Nel CMJ, nel momento in cui il soggetto effettua un rapido piegamento delle gambe la piattaforma registrerà una forza minore rispetto al suo peso, in questa fase infatti stiamo accelerando verso il basso, per un individuo di 75 kg ad esempio la deflessione della forza rispetto al peso può essere dell’ordine di circa 350 N, in questo caso il picco d’accelerazione verso il basso sarebbe di 4.6 m . s-2 , il picco d’accelerazione verso il basso si calcola infatti dividendo la massima deflessione di forza per la massa del soggetto, in questo caso quindi 350 / 75 = 4.6. In questa fase la velocità, che può essere ricavata intergrando il segnale di forza sul tempo, sarà negativa, il nostro centro di gravità si sta infatti spostando verso il basso. E’ importante sapere che il nostro centro di gravità accelera verso il basso sino a quando la forza registrata dalla piattaforma ritorna ad essere uguale alla forza peso . Ci stiamo infatti avvicinando alla fase d’inversione del movimento, in altre parole stiamo avvicinandoci alla fine della fase eccentrica del movimento, che sarà seguita da una brevissima fase di stabilizzazione isometrica, a cui a sua volta farà seguito la spinta concentrica. Quando la velocità sarà uguale a zero, il soggetto sarà appunto nella fase d’inversione del movimento, ossia in quella brevissima fase di stabilizzazione isometrica che fa seguito alla fase eccentrica e precede quella concentrica, la velocità poi assumerà valori positivi ed a questo punto sarà iniziata la fase di spinta, ultimata la quale, l’atleta si staccherà da terra. In ogni caso l’accelerazione verso il basso che si registra nel corso di un CMJ è sempre molto inferiore rispetto a quella che avrebbe un corpo in caduta libera, se così fosse infatti la piattaforma registrerebbe, durante la fase di piegamento, un valore uguale a zero. Durante la prima fase della spinta concentrica, la muscolatura estensoria deve esercitare una notevole forza per accelerare il centro di gravità verso l’alto, quando quest’ultimo avrà compiuto circa metà del suo percorso verso l’alto, l’energia cinetica (1/2 M . V2) avrà raggiunto il suo valore massimo, contestualmente, proprio per il fatto che il centro di gravità si è spostato verso l’alto, aumenterà anche l’energia potenziale (M . g . h). Nella seconda parte della fase d’estensione degli arti inferiori, l’energia cinetica del sistema diminuirà progressivamente, sino ad annullarsi completamente al termine delle fase di spinta stessa, mentre l’energia potenziale continua ad aumentare. In ogni istante del salto la potenza istantanea risulterà uguale al prodotto tra la velocità del centro di gravità e la forza registrata dalla pedana e quindi sarà di segno positivo durante la fase di spinta e di segno negativo durante la fase di piegamento, dal momento che il senso del vettore velocità risulta opposto durante le due fasi di cui sopra. Alla fine della fase d’estensione la piattaforma, per pochi millisecondi, registra una forza minore rispetto alla forza peso, segno che l’atleta sta completando la fase di distacco del piede, infine, quando il soggetto non è più a contatto con la pedana e per tutta la fase di volo, il segnale si azzererà completamente. A metà della fase di volo tutta l’energia cinetica si è trasformata in energia potenziale, che raggiunge così il suo valore massimo. Conoscendo il tempo di volo è possibile calcolare lo spostamento in volo del centro di gravità con la seguente formula:

Spostamento CdG = 1.226 . T2
Nella quale T rappresenta il tempo di volo.

Durante uno SJ invece, la piattaforma registra una forza superiore alla forza peso per quasi tutta la fase di spinta , questo sta ad indicare che la velocità del centro di gravità del soggetto aumenta progressivamente durante tutta la fase di spinta mentre la velocità del punto d’appoggio, ossia la pianta dei piedi, è uguale a zero. Alla fine della fase di spinta, come durante un CMJ, lo strumento registra una forza minore della forza peso per poi azzerare il segnale completamente durante la fase di volo e registrare nuovamente il segnale di forza al momento del ritorno a terra.

L’altezza di volo raggiunta dal centro di gravità è di norma maggiore durante un CMJ rispetto a quanto non sia in uno SJ. Questo dipende essenzialmente dal fatto che il valore di forza che si registra durante una fase concentrica è esattamente uguale al peso del soggetto, mentre il valore di forza all’inizio della fase di spinta di un CMJ può essere uguale a 2-2.5 volte il peso dell’atleta. Questo aumento dei valori di forza all’inizio della fase concentrica sarebbe dovuto, sia al fenomeno di stoccaggio d’energia elastica da parte del complesso muscolo tendineo, soprattutto a carico del tendine, che avviene durante la fase eccentrica del salto, sia al fenomeno di pre-attivazione della muscolatura estensoria che si verifica sempre durante la fase di contromovimento.

Come interpretare il segnale registrato da una piattaforma dinamometrica

 

 

Nella prima figura possiamo osservare il tracciato del segnale di forza che si ottiene su di una pedana dinamometrica durante l’esecuzione di un CMJ. E’ possibile suddividere il segnale nelle diverse fasi nelle quali è composto il salto e precisamente:

Fase 1 : il soggetto è fermo sulla pedana ed il segnale di forza corrisponde esattamente al suo peso, la linea tratteggiata azzurra corrisponde infatti al peso corporeo dell’atleta (body weight)

Fase 2: comincia la fase di piegamento delle gambe che comporta, visto che l’accelerazione è di segno negativo, una diminuzione del segnale di forza registrato dalla piattaforma. Sempre durante la fase 2, il soggetto, avvicinandosi al punto in cui dovrà arrestare il movimento verso il basso, effettuare una brevissima stabilizzazione isometrica (altrimenti definibile come coupling time) e cominciare quindi la fase di spinta, , inizia a diminuire l’accelerazione diretta verso il basso, per questa ragione il segnale di forza ritornerà dapprima al valore di body weight, per poi in seguito superalo e raggiungere valori superiori ad oltre il doppio del peso corporeo dell’atleta. La fase eccentrica finisce nel momento in cui la velocità passa da valori negativi (il movimento è diretto verso il basso) al valore zero (il soggetto è fermo nella fase di stabilizzazione isometrica immediatamente precedente l’inizio della fase di spinta).

Fase 3: questa fase corrisponde alla spinta concentrica e l’accelerazione e la velocità sono di segno positivo, nell’ultima parte di questa fase il segnale di forza diminuisce progressivamente in corrispondenza alla fase finale della spinta stessa.

Fase 4: la piattaforma non registra più alcun segnale, l’atleta è completamente staccato da quest’ultima in piena fase di volo.

Fase 5: l’ultima fase corrisponde alla fase d’atterraggio successiva alla fase alla fase di volo, durante la quale la piattaforma registra nuovamente il segnale di forza.

 

Nella seconda figura invece possiamo osservare quello che la pedana dinamometrica registra nel caso di uno SJ. In questo caso, al contrario di quanto invece accada durante un CMJ, il segnale di forza non scende mai al di sotto del peso dell’atleta, questo dipende ovviamente dal fatto che, non verificandosi nessun movimento di piegamento delle gambe, l’accelerazione è sempre positiva. La fase 2 corrisponde alla fase di spinta, mentre la fase 3 e la fase 4 corrispondono rispettivamente alla fase di volo ed alla fase d’atterraggio.

Una nuova chiave di lettura per il CMJ

Abbiamo appena avuto modo di vedere come il CMJ, rispetto allo SJ, sia in grado di fornirci anche importanti informazioni sul comportamento meccanico dell’unità muscolo-tendinea (UMT) per ciò che riguarda la sua capacità d’accumulo d’energia potenziale durante la fase eccentrica del movimento e di conseguente restituzione di quest’ultima, sotto forma di lavoro meccanico, nel corso della fase concentrica del movimento stesso. Ma oltre a ciò, il CMJ si presta ad una lettura che potremmo definire "diagnostica" del movimento di salto. In effetti durante un CMJ è possibile ripercorrere tutti i patterns d’attivazione neuromuscolare che si ritrovano in tutti quei movimenti, come gli sprint, i cambi di direzione, i diversi tipi di salti, che caratterizzano le diverse attività sportive, d’altro canto occorre ricordare come la corsa stessa altro non sia che una successione di balzi al suolo(2). Questo diverso approccio valutativo si presenta particolarmente interessante nel caso della valutazione di un atleta infortunato nel quale i patterns d’attivazione neuromuscolare, e le conseguenti risposte meccaniche dell’arto leso, possono presentarsi alterati rispetto a quelli del controlaterale sano L’attuazione di questa nuova chiave di lettura è divenuta oggi possibile grazie all’utilizzo di una doppia pedana dinamometrica (Twin Plates System by Globus Italia, Codognè, Treviso) (figura 3) attraverso la quale è possibile registrare e confrontare automaticamente il segnale dinamometrico dei due arti impegnati nel movimento di CMJ.

 

Figura 3 : Il Twin Plates Test (by Globus Italia) prevede l’utilizzo di due piattaforme di forza sincronizzate il cui segnale viene registrato ed analizzato automaticamente da un software dedicato.

Il protocollo del Twin Plates Test

Il protocollo del Twin Plates Test (figura 4) prevede che l’atleta, posizionato sulla doppia pedana dinamometrica, effettui un salto con contromovimento, regolando a suo piacimento l’angolo della fase eccentrica (è possibile comunque standardizzare l’angolo di piegamento grazie all’utilizzo di un goniometro articolare interfacciato con il sistema), e che nel momento di ripresa di contatto al suolo, si arresti in una posizione statica con un angolo di piegamento delle gambe pari a circa 90°. L’apparecchiatura, dopo aver registrato simultaneamente il segnale dinamometrico dei due arti, provvederà automaticamente a suddividere e confrontare i due segnali in otto diverse fasi, che esamineremo di seguito dettagliatamente, e che corrispondono ad altrettanti diversi patterns d’attivazione neuromuscolare.

Figura 4: il protocollo del Twin Plates Test prevede l’effettuazione di un salto preceduto da un contromovimento, seguito, dopo la presa di contatto al suolo, da una fase di stabilizzazione isometrica con un angolo articolare a livello del ginocchio di 90°.

1 a fase o fase di ripartizione statica del carico.

In questa prima fase l’atleta si trova in piedi, in posizione statica, sulla doppia pedana dinamometrica, che in questo caso si comporterà come una pedana stabilometrica, ossia indicando la diversa ripartizione del carico sull’arto leso e sul controlaterale sano (figura 5). In caso di patologie di una certa gravità, già in questa prima fase sarà evidenziabile uno squilibrio concernente la ripartizione del carico sui due arti. In questo caso è prevedibile anche per ciò che riguarda le successive fasi, una situazione di scarsa sovrapponibilità dei segnali provenienti dai due arti e quindi un diverso comportamento neuromuscolare.

 

Figura 5: un’evidente alterazione nella ripartizione statica del carico durante la prima fase (denominata appunto "fase di ripartizione statica del carico"), può essere la spia di una situazione artromuscolare estremamente critica e disequilibrata anche per quello che riguarda le successive fasi corrispondenti ai diversi patterns d’attivazione neuro-muscolare.

2 a fase o fase di over-stretching eccentrico

La totalità della fase eccentrica può essere suddivisa in due distinte fasi, nella prima l’UMT subisce una fase di veloce stiramento senza che si registri un’apprezzabile produzione di forza, mentre nella seconda fase si registra un’importante produzione di forza eccentrica. Nella prima di queste due fasi, denominata di over-stretching eccentrico, la forza totale registrata dalla pedana , dal momento che ci si trova in una situazione di forte accelerazione verso il basso, rimane sempre comunque minore del peso reale del soggetto. A questo punto è importante ricordare come il meccanismo maggiormente correlato al possibile danneggiamento dell’UMT, sia la contrazione di tipo eccentrico. ( 3, 4, 5, 6) In particolare nella fase di over-stretching eccentrico l’integrità dell’UMT è messa a repentaglio dalla repentinità dello stiramento subito da quest’ultima. In un arto leso è evidenziabile in questa fase, come ben visibile dalla figura 6, la messa in atto di un meccanismo di protezione che fa sì che la velocità di stiramento eccentrico (di cui il marker è costituito dal picco di accelerazione negativa) sia minore rispetto a quanto registrabile nel controlaterale sano.

Figura 6: la seconda fase, definibile come fase di over-stretching eccentrico, è compresa tra l’inizio del movimento eccentrico ed il raggiungimento del picco di accelerazione negativa. Come è facilmente osservabile dal segnale registrato, la capacità meccanica di sopportazione della fase di over-stretching è fortemente limitata nell’arto leso, anche a causa della messa in atto di possibili meccanismi di tipo protettivo e/o inibitorio.

3 a fase o fase di massima produzione di forza eccentrica

Dopo il raggiungimento del picco di accelerazione negativa, l’accelerazione verso il basso comincia a decrescere, in questa fase infatti il soggetto, pur essendo ancora in fase di piegamento verso il basso degli arti inferiori, sta progressivamente "frenando" per prepararsi alla fase d’inversione del movimento (figura 7). Questa fase è quindi connotata da una forte produzione di forza eccentrica, che può raggiungere 2,5-3 volte il peso del soggetto stesso. La forte produzione di forza eccentrica è la maggior causa di rischio d’integrità dell’UMT (7), per questa ragione una disparità di capacità di produzione di forza eccentrica nell’arto leso rispetto al controlaterale sano, può indicare una situazione ancora potenzialmente a rischio.

 

Figura 7: una deficit di produzione di forza eccentrica nell'arto leso, può indicare una situazione ancora a rischio soprattutto in tutti quei movimenti di cutting, durante i quali l'UMT deve sopportare carichi eccentrici particolarmente rilevanti.

4 a fase o fase di massima produzione di forza concentrica

Immediatamente dopo il picco di massima forza eccentrica si verifica l'inversione del movimento. Ossia il soggetto osserva un tempuscolo minimo, ma comunque strumentalmente misurabile, in cui si trova in posizione isometrica (infatti la velocità registrata dalle pedane è eguale a zero), subito dopo il quale ha inizio la fase di spinta concentrica (la velocità infatti torna ad assumere valori positivi). In questa fase (figura 8) l’energia elastica accumulata sotto forma potenziale viene trasformata in lavoro meccanico che potenzia ulteriormente la forza generata dalla componente contrattile muscolare. Anche in questo caso, in un piano riabilitativo coronato da pieno successo, è di basilare importanza il raggiungimento di una situazione di sovrapponibilità delle curve relative alla spinta concentrica dei due arti.

Figura 8: un’ottimale ripristino della situazione artro-muscolare prevede, anche nella fase di massima produzione di forza concentrica, una situazione di forte similitudine, sia dell’andamento, che del valore assoluto, delle curve relative alla spinta concentrica dei due arti. Questa fase inoltre costituisce la spia della capacita di accumulo e restituzione di energia elastica da parte dell’UMT dei due arti.

5 a fase o fase di volo

Nel momento in cui il soggetto si stacca dalle piattaforme (figura 9), le stesse non registrano più alcun segnale, non è quindi ovviamente possibile durante questa fase effettuare un tipo di analisi comparativa sui due arti. Tuttavia la fase di volo offre comunque la possibilità di una valutazione di tipo "assoluto" sulla capacità di espressione di forza esplosiva e di accumulo e conseguente restituzione di energia elastica da parte dell’UMT, soprattutto se è possibile confrontare i dati registrati con gli stessi desunti in un periodo precedente all’evento traumatico stesso.

Figura 9: la fase di volo permette una valutazione assoluta delle capacità di forza esplosiva e di accumulo e restituzione di energia elastica da parte dell’UMT. Assume ovviamente particolare importanza il poter confrontare i dati registrati prima e dopo l’evento traumatico.

6a fase o fase d’impatto

La fase d’impatto (figura 10), ossia la fase durante la quale il soggetto riprende contatto con la pedana alla fine della fase di volo, assume un’importanza particolare, in quanto proprio in questa fase si evidenziano tutta una serie di meccanismi di tipo protettivo atti alla salvaguardia meccanica dell’arto leso. In un arto che non abbia ancora ripreso appieno le sue capacità funzionali, è soprattutto in questa fase che si evidenzia una forte discrepanza tra i segnali registrati a carico dei due arti (8). Ad esempio in lesioni a carico del LCA, i deficit nel controllo dell’impatto sono molto comuni, anche nel caso in cui la forza e l’ampiezza del movimento del ginocchio leso rientrano nei limiti di normalità (9).

Figura 10: l’indice d’impatto quantifica la forza verticale massima d’impatto ed evidenzia, oltre ai deficit di tipo meccanico, le eventuali strategie di tipo protettivo poste in atto dal soggetto nei confronti dell’arto leso.

7a fase o fase eccentrica di pre-stabilizzazione

Dopo la fase d’impatto, come previsto dal protocollo di test, l’atleta deve arrestarsi in una posizione statica con un angolo articolare di circa 90° a livello del ginocchio (figura11). Subito dopo l’impatto quindi il soggetto mette in atto una strategia d’attivazione neuro-muscolare molto particolare che potrebbe essere definita come una contrazione eccentrica preparatoria ad una fase di stabilizzazione isometrica. L’indagine di una possibile disparità di comportamento neuromuscolare in questa particolare fase, assume un valore diagnostico molto importante soprattutto per ciò che riguarda atleti, come ad esempio gli sciatori, che ritrovano questo particolare pattern di attivazione neuro-muscolare nell’ambito specifico della loro disciplina sportiva.

Figura 11: il particolare tipo di attivazione neuro-muscolare che si ritrova nel corso della fase pre-eccentrica di stabilizzazione assume un importante valore diagnostico soprattutto in particolari discipline sportive, come ad esempio lo sci alpino, in cui l’atleta ritrova un pattern neuro-muscolare molto simile

8a fase o fase isometrica di stabilizzazione

L’ottava ed ultima fase, denominata "fase isometrica di stabilizzazione" (figura 12), indaga una possibile alterata ripartizione del carico, nel momento in cui al soggetto venga richiesta una contrazione di tipo isometrico. Anche in questo caso, come durante la fase precedente, il valore diagnostico dell’indagine diviene particolarmente elevato nel caso di atleti che ritrovino nell’espletamento della loro attività un pattern di attivazione neuro-muscolare simile (sci alpino, pallavolo ecc.)

 

Figura 12: l’ultima fase, denominata "fase isometrica di stabilizzazione" indaga sul possibile squilibrio artro-muscolare durante una contrazione di tipo isometrico sotto forma bilaterale.

Le ulteriori originalità del test

Il test effettuato sulla doppia piattaforma dinamometrica permette quindi all’operatore di ripercorrere ed analizzare tutti i patterns d’attivazione neuro-muscolare che è possibile ritrovare nel corso di un movimento naturale, dalla contrazione isometrica al concentrico esplosivo effettuato tramite stoccaggio e restituzione di energia elastica. Inoltre dal momento che, come già ricordato, la corsa, da un punto di vista biomeccanico, è assimilabile ad una successione di balzi al suolo (2, 10) , questo tipo d’indagine può essere a tutti gli effetti considerata come predittiva nei confronti della possibile biomeccanico di corsa adottabile dall’atleta. Un’ulteriore, ma non meno importante, originalità del test, che vale senza dubbio la pena di sottolineare, è costituita dal fatto che la doppia piattaforma dinamometrica costituisce di fatto l’unico test durante il quale il soggetto effettua il movimento da analizzare in modo contemporaneo con l’arto leso ed il controlaterale sano. Il fatto che il movimento sia eseguito grazie ad un unico segnale proveniente dal sistema nervoso centrale, permette una perfetta situazione d’analisi comparativa dei due segnali registrati. Infine, mentre le valutazioni funzionali di tipo isocinetico, sono normalmente effettuate a catena cinetica aperta, il Twin Plates Test offre la possibilità di valutare il soggetto in un esercizio a catena cinetica chiusa (che nel momento del balzo diviene a catena cinetica aperta). Gli esercizi a catena cinetica chiusa offrono il vantaggio di combinare in vario modo contrazioni di tipo isometrico, concentrico ed eccentrico, che avvengono in maniera simultanea o sequenziale, producendo un movimento multiplanare a livello di tutte le articolazioni facenti parte della catena cinetica stessa. Per questo motivo la valutazione in catena cinetica chiusa, presenta il vantaggio di poter valutare la sincronizzazione e le complesse azioni muscolari che vengono svolte dai muscoli agonisti ed antagonisti (11). Tutta questa serie di ragioni rafforzano l’idea dell’utilizzo del Twin Plates Test come test di elezione nell’ambito della riabilitazione e del controllo neuro-muscolare dell’atleta.

Quando l’UMT rischia la perdita d’integrità?

Il danno a carico della fibra muscolare può essere causato da una singola contrazione muscolare, come dall’effetto cumulativo di una serie di contrazioni (3) .In ogni caso il meccanismo maggiormente correlato al possibile danneggiamento, sia della fibra muscolare, che dell’UMT in toto, risulterebbe essere la contrazione di tipo eccentrico (3, 5, 12) .

La fase eccentrica di un movimento, come ad esempio nel corso di un balzo, di un passo di corsa, oppure di un cambiamento di direzione, può essere suddivisa in 2 sottofasi. Nella prima l’UMT viene velocemente stirata senza che vi sia un’apprezzabile produzione di forza eccentrica da parte del muscolo; in questa prima fase l’integrità dell’UMT viene messa a rischio dalla velocità dello stiramento che quest’ultima deve subire. Nella seconda fase la produzione di forza eccentrica sale drasticamente sino a raggiungere valori pari a 2,5 3 volte il peso del soggetto (13), inoltre in questa fase risulta maggiore anche la forza prodotta dagli elementi passivi del tessuto connettivo sottoposto all’allungamento (3). In questa fase l’integrità della struttura muscolare è messa a repentaglio dalla gran produzione di forza che ogni ponte acto-miosinico e chiamato a produrre (14). Delle due fasi, comunque quella maggiormente a rischio sarebbe la seconda, in quanto la forte produzione di forza eccentrica costituirebbe un fattore di rischio maggiore rispetto alla velocità di allungamento (7)

 

Bibliografia

  1. Cavagna GA., Komarek L., Citterio G., Margaria R. Power output of the previously stretched muscle. Medicine and Sport. 6: 159-167, 1971.
  2. Bisciotti G.N. Il corpo in movimento. Dalle basi fisiologiche all’allenamento sportivo. Ed Correre. Milano, 2003.
  3. Armstrong RB. Initial events in exercise induced muscular injury. Med. Sci. Sports Exerc. 22: 429-437, 1990.
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  5. Garret WE. Muscle strain injury: clinical and basic aspects. Med. Sci. Sports Exerc. 22: 439-443, 1990.
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  8. NeuroCom International, Inc. The objective quantification of daily life tasks : The New Balance master 6.0.(manual) Clackamas, Or, 1997.
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  10. Woight M, Tippett S. Plyometric exercise in rehabilitation. In: Prentice W.E. Rehabilitation techniques in sports medicine. The McGraw-Hill Companies Inc. (Ed.), 1999.
  11. Grahm V., Gehlsen G., Edwards J. Electromyographic evaluation of closed-and open-kinetic-chain knee rehabilitation exercises. Journal of Athletic Training. 28 (1): 22-33, 1993.
  12. Bisciotti G.N., Bertocco R., Ribolla P.P., Sagnol J.M. Electromyographic analysis in the reconstruction of anterior cruciate ligament. A new control and prevention method. Med Sport, 54 (4):295-304, 2001.
  13. Bisciotti G.N., Mognoni P., Iodice P. P., Canclini A. L’influenza della fase di pre-stiramento sui parametri biomeccanici del salto verticale. SdS, in corso di stampa.
  14. Stauber W.T. Eccentric action of muscle physiology injury and adaptation. Exerc Sport Sci Rew. 17157-185, 1989.
   
                     
                     
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