Come
salvarsi dal terremoto "2"
di Gian Nicola Bisciotti
In
uno dei miei primi articoli apparsi su questa
rivista, intitolato "come salvarsi
dal terremoto", facevo riferimento
al terremoto appunto assumendolo come un
modello molto simile a quello della fatica
che sinstaura nellatleta durante
unattività intensa e prolungata.
Chi non si ricordasse di quanto detto nel
suddetto articolo, oppure chi non lo avesse
letto, può trovare un brevissimo
sunto che ne mette a fuoco i punti essenziali
nel riquadro specifico. Nel tempo intercorso
tra luscita dellarticolo in
questione (marzo 2001), ad ora, ho cercato
di sviluppare molto questo concetto di "fatica
specifica" nel gioco del calcio, sia
da un punto di vista teorico, che pratico,
cercando anche di fare una certa opera di
proselitismo, se così si può
dire, non soltanto tra i miei studenti di
Scienze Motorie (troppo facile potranno
obbiettare molti) ma anche nei confronti
di coloro che sono impegnati professionalmente
nella preparazione atletica del calcio (già
più difficile potrei dire io). Per
questo motivo mi fa particolarmente piacere
tentare di scrivere questa sorta di "Come
salvarsi dal terremoto 2" poichè
credo che molti dei concetti che andrò
ad esporre ora siano la logica integrazione
ed il giusto completamento, ovviamente non
esaustivo, di quanto detto e scritto allora.
Il
terremoto e la fatica.....
In
natura un modello multifattoriale (ossia
composto da numerosi fattori tra loro connessi
ed interagenti), sovrapponibile a quello
della fatica, è costituito dal terremoto:
in un terremoto, levento scatenante,
costituito dai moti ondulatori e sussultori
della crosta terrestre, innesca tutta una
serie di altri eventi come il crollo di
palazzi, lo scoppio di tubature dacqua
e gas, incendi, crollo di dighe...ecc, tra
loro collegati che portano al collassamento
del sistema urbano. In un organismo impegnato
in un lavoro muscolare , che porti allesaurimento
organico, avviene allincirca la stessa
cosa: tutta una serie di eventi tra loro
collegati, quali la deplezione di ATP, laumento
dellacidosi, la diminuzione del pH,
laumento dei pirofosfati liberi ecc.
.. portano allarresto del sistema,
questa volta, biologico. Chi volesse approfondire
il concetto della fatica può fare
riferimento al seguente articolo : La
fatica aspetti centrali e periferici.,
Bisciotti e coll. SdS n° 54 (gennaio-marzo):
28-41, 2002.
Figura
1: leziologia multifattoriale della
fatica
Figura
2: i fattori responsabili del "collassamento"
del sistema urbano durante un terremoto
Figura
3: alcuni dei fattori che determinano linsorgenza
della fatica durante il lavoro prolungato
e che portano al "collassamento"
del sistema biologico.
Il
modello della fatica nel gioco di squadra
La
prima domanda che dobbiamo porci è:
Il modello della fatica nel gioco del calcio
è quello riportato nella figura 4,
che tra laltro è a tuttoggi
il modello maggiormente adottato? In altre
parole è solamente il concatenarsi
di diverse azioni esplosive, quali gli sprint,
i balzi ecc ... a determinare nel calciatore
linsorgenza della fatica e quindi
lo scadimento del rendimento atletico?
Figura
4: il modello della fatica nel calcio è
questo?
Direi
che questa modellizzazione della fatica
nel calcio è piuttosto incompleta,
manca un fattore fondamentale. Infatti le
azioni di tipo esplosivo, che reiterate
nel tempo conducono allaffaticamento,
non costituiscono "un fenomeno a se
stante" ma bensì sinseriscono
su un sistema biologico che sta lentamente
perdendo la propria stabilità. Ovviamente
il sistema biologico a cui mi riferisco
è lorganismo dellatleta
che, sottoposto ad un lavoro di minore intensità
rispetto agli episodi esplosivi costituiti
dagli sprint, dai balzi ecc... sta comunque
già conoscendo il fenomeno dellaffaticamento.
Direi quindi che una modellizzazione della
fatica maggiormente rispondente a quello
che realmente avviene in un situazione di
competizione nel calcio, risponde piuttosto
a quanto è illustrato nella figura
5.
Figura
5: Le azioni esplosive nel calcio sinnestano
su di un lavoro di minore intensità
ma che comunque affatica il sistema biologico
rendendolo instabile.
Tutte
queste azioni sinnestano quindi su
di una base "traballante", resa
instabile da tutta la mole di lavoro di
media intensità, tanto misconosciuto
e bistrattato, quanto protagonista nel trascinare
il sistema biologico del calciatore nellinstabilità
causata dallaffaticamento.
Come
rendere "stabile" il sistema?
Nel
primo articolo sul terremoto, affermavo
ed affermo ancora, come la tanto ultimamente
snobbata potenza aerobica potesse costituire
una piattaforma antisismica in grado di
stabilizzare il sistema, prorogandone il
punto di collassamento. Oggi, oltre che
dare ulteriori indicazioni pratiche sulla
costruzione di una solida piattaforma antismica
costituita dalla potenza aerobica, vorrei
aggiungere altre due piattaforme, la seconda
sempre di tipo organico, il cui scopo è
quello di ottimizzare il rendimento della
prima, e la seconda di tipo muscolare. Ma
andiamo con ordine e vediamo come costruire
una robusta piattaforma antisismica a base
di potenza aerobica articolandone il lavoro
in tre tappe fondamentali.
Figura
6: il sistema biologico è reso maggiormente
stabile dallinterposizione di una
"piattaforma antisismica" costituita
dalla potenza aerobica, interposta tra le
cause dinsorgenza della fatica ed
il sistema stesso. In tal modo le azioni
di tipo esplosivo possono innestarsi su
di un sistema reso più stabile e
maggiormente lontano dal punto di collassamento.
1°
tappa : il lavoro continuo.
Si
tratta di un lavoro continuo piuttosto particolare,
abbastanza lontano dallaccezione classica
del termine, rubato se così si può
dire da unesperienza effettuata dal
Rosenborg, e che in fin dei conti può
costituire una variante "rivista e
corretta" delle classiche ripetute
sui 1000 metri, anche se in effetti in questo
caso la distanza percorsa diviene leggermente
maggiore. Si tratta di effettuare 4 serie
di corsa al 90-95% della FCmax (quindi al
90-95% della Velocità Aerobica Massimale)
della durata di 4, intervallate da
4 di recupero attivo, ossia di corsa
svolta al 70-75% della VAM. Lavoro indubbiamente
impegnativo durante il quale ad esempio
un atleta che abbia una VAM di 18 km/h percorre
circa 1100 metri durante i 4 percorsi
al 90-95% della VAM e circa 850-900 mt nei
4 svolti al ritmo pari al 70-75% della
VAM.
Figura
7: landamento della FC in un lavoro
di tipo 4/4X4 nel quale vengono
alternati per 4 volte 4 al 90-95%
della FCmax a 4 corsi ad una FC pari
al 70-80% della FCmax.
2°
tappa : il lavoro intermittente.
In
questa seconda tappa ci si avvicina maggiormente,
rispetto al tipo di lavoro precedente, alla
strutturazione specifica della corsa in
ambito calcistico, caratterizzata da un
continuo alternarsi di fasi di accelerazione
e decelerazione che comportano, oltre ad
un incremento del lavoro muscolare, anche
un cospicuo aumento della spesa energetica
della corsa stessa, che può superare
anche del 30% la spesa energetica necessaria
a sostenere la stessa velocità di
corsa per la medesima distanza effettuata
in modalità continua anziché
frazionata (Bisciotti e coll. 2001). Le
modalità che potremmo definire come
"classiche" attraverso le quali
strutturare una seduta di tipo intermittente
sono le seguenti:
Rapporto
tempo di lavoro/tempo di recupero :
10/10 20-20
30-30 e relative
varianti
Intensità
di lavoro: dal 100 al 115% della VAM
Recupero:
di tipo passivo (fermi sul posto), oppure
attivo, in questo caso durante la pausa
di recupero si dovrà correre ad una
velocità, denominata Velocità
di Recupero Attivo, compresa tra il 65 ed
il 70% della VAM. Facciamo due esempi pratici
di lavoro intermittente, il primo con recupero
passivo
ed il secondo con recupero attivo, considerando
sempre il caso di un atleta che abbia una
VAM di 18 km/h.
Esempio
1 (recupero passivo)
Intensità:
105% della VAM
Tempo
di lavoro: 20 durante i
quali si debbono percorrere 105 mt
Tempo
di recupero: 20 di recupero
passivo
Ripetizioni:
12
Serie:
3
Recupero
tra le serie: 5 di recupero attivo
a base di palleggio individuale od a coppie
Esempio
2 (recupero attivo): in questo secondo caso
conviene strutturare la seduta in base alla
distanza piuttosto che al tempo in modo
da renderla maggiormente controllabile da
parte del preparatore.
Intensità
di lavoro: 105% della VAM
Distanza
da effettuare: 105 metri da percorrere in
20"
Recupero:
105 metri da percorrere in 30" (70%
della VAM)
Ripetizioni:
10
Serie:
3
Recupero
tra le serie: 5 di recupero attivo
a base di palleggio individuale od a coppie
3°
tappa : lintermittente ad alta intensità.
Nel
lavoro intermittente occorre sempre considerare
che le diverse intensità proposte
determinano differenti risposte, e conseguenti
diversi adattamenti di tipo fisiologico
(Bisciotti, 2002; Bisciotti e coll., 2002).
In linea generale possiamo dire che unintensità
di lavoro pari al 100% della VAM comporta
un tipo di intermittente che potremmo definire
"aerobico", ad unintensità
del 105% della VAM consegue un lavoro di
tipo "blandamente anaerobico lattacido",
mentre ad un intermittente svolto al 110
ed al 115% della VAM, corrispondono rispettivamente
un lavoro di tipo "lattacido"
nel primo caso e "fortemente lattacido"
nel secondo. In questa terza tappa il tipo
di lavoro risulta quindi di tipo "fortemente
lattacido", e proprio per questo motivo
andrà utilizzato a "ragion veduta"
ed inserito in periodi ben precisi della
programmazione. Un esempio di lavoro intermittente
ad alta intensità, sempre considerando
unatleta la cui VAM sia pari a 18
km/h può essere il seguente:
Intensità
di lavoro: 135% della VAM
Tempo
di lavoro: 20 durante i
quali si debbono percorrere 135 mt
Recupero:
45" di recupero passivo
Ripetizioni:
8
Serie:
3
Recupero
tra le serie: 5 di recupero passivo,
oppure 5 di recupero attivo a base
di palleggio individuale od a coppie
La
costruzione della seconda piattaforma antisismica
Per
consolidare ulteriormente la nostra prima
piattaforma antisismica, costituita come
abbiamo appena detto e visto, dalla potenza
aerobica, è opportuno crearne una
seconda, costituita questa volta dallottimizzazione
del livello della soglia anaerobica. Infatti
la costruzione di questa seconda piattaforma
permette di migliorare il rendimento della
prima. Qual è la ragione per la quale
una buona soglia anaerobica dovrebbe ottimizzare
lutilizzo della potenza aerobica?.
E presto detto, il livello di soglia
anaerobica é correlato alla percentuale
della VAM utilizzata a soglia (Bisciotti,
Alfano, Gaudino, 2002). In altre parole,
più il valore di soglia è
elevato, maggiore risulterà la percentuale
di VAM che si potrà utilizzare durante
un lavoro prolungato. Cosa significa questo
in ambito calcistico? Significa che i calciatori
che avranno i migliori valori di soglia
anaerobica saranno anche coloro i quali
potranno utilizzare nel corso della partita
una percentuale maggiore della VAM. Inoltre
per approfondire ancor di più il
concetto di soglia vinvito al leggere
il box "Soglia, VAM e carico interno"
Figura
8: la costruzione di una seconda piattaforma
antisismica, costituita dalla soglia anaerobica,
permette di ottimizzare lutilizzo
della prima costituita dalla potenza aerobica.
Figura
9:come per poter costruire un palazzo di
una certa altezza è necessario avere
a disposizione delle fondamenta solide,
avere un buon valore di soglia anaerobica
permette al giocatore di calcio di utilizzare
nel corso della partita una percentuale
maggiore della propria VAM.
Come
migliorare il proprio valore di soglia
Per
migliorare il valore di soglia anaerobica
proporrei 3 metodi, ossia il lavoro continuo
a soglia, le ripetute a soglia e sopra-soglia
ed il progressivo. Vediamo di esaminarli
uno ad uno fornendo come al solito degli
esempi pratici di costruzione della seduta.
Il
lavoro continuo a soglia.
Si
tratta di correre per circa 20 minuti al
ritmo della propria soglia anaerobica. Per
cui per un calciatore che abbia una soglia
pari a 14.5 km/h si tratta di correre al
ritmo di 408/km. A questo
punto vorrei tranquillizzare coloro i quali
temono che simili lavori possano "rallentare"
il giocatore provocando una massiccia trasformazione
di fibre veloci in fibre lente. Non è
certamente effettuando alcune sedute di
questo tipo, fermo restando comunque il
fatto che il ritmo di soglia è comunque
un ritmo piuttosto "vivace", che
si rischia di indurre simili trasformazioni
strutturali.
Le
ripetute a soglia e sopra-soglia.
E
un lavoro basato sulla percorrenza di distanze
definibili come "classiche" (ad
esempio i 1000 metri) percorse ad un ritmo
che può andare dal 100 al 110% del
ritmo di soglia. Un esempio pratico un atleta
che abbia una soglia di 14.5 km/h potrebbe
essere:
Distanza:
1000 metri
Intensità:
110 % della velocità di soglia, pari
al 16 km/h (345"/km)
Serie:
5
Recupero:
Da 3 a 5
Il
progressivo
Nel
progressivo si tratta di correre una distanza
di circa 4 5 km a velocità
progressivamente crescenti. La velocità
di partenza del primo km può essere
circa pari all80% - 85%della velocità
di soglia sino ad arrivare, allultimo
km ad una velocità pari al 105% della
velocità di soglia. Un esempio, sempre
per un atleta la cui soglia sia eguale a
14.5 km/h, potrebbe essere:
Progressivo
sulla distanza di 7430 metri
1°
km in 510" (pari all80%
della velocità di soglia)
2°
km.in 452" (pari all85%
della velocità di soglia)
3°
km.in 437" (pari all90%
della velocità di soglia)
4°
km.in 408" (pari al 100% della
velocità di soglia)
5°
km in 357(pari al 105%
della velocità di soglia
Si
può eventualmente raddoppiare lultimo
palier, ossia percorre 2000 mt in 816",
escludendo il km percorso al 105% della
velocità di soglia ma ovviamente
le varianti possibili sono numerose.
La
piattaforma antisismica muscolare
Questa
è lultima tappa dellopera
di "solidificazione" del nostro
sistema biologico. Infatti anche se alcuni
autori avanzano unipotesi contraria
(Vandewalle e Le Chevalier, 2002), avere
buone capacità di potenza aerobica
e di soglia, non significa affatto avere
buone capacità di resistenza alla
forza veloce. A questo proposito, oltre
naturalmente a tutti i tipi di esercitazioni
a base di navette di vario tipo, vorrei
proporre tre metodi di lavoro che ho concettualizzato
ed utilizzato molto nellambito della
preparazione atletica, non solo del calcio,
ma anche di altre discipline sportive come
il tennis ed il judo e che, a mio a mio
parere, possono essere di un certo interesse.
Figura
10: la resistenza alla forza veloce costituisce
lultima delle piattaforme in grado
di stabilizzare il nostro sistema biologico.
La
resistenza intra-serie
Una
seduta basata su quella che ho voluto denominare
"resistenza intra-serie" segue
una struttura di questo tipo:
Tipo
di esercitazione: Squat (oppure pressa
o leg extension nel caso del quadricipite
femorale, leg curl nel caso del bicipite
femorale)
Serie
: da 5 ad 8
Carico:
dal 65 al 70% del carico massimale
Ripetizioni:
da 10 a 12 RM
Recupero:
circa 3 , comunque totale.
La
logica che si persegue in questo tipo di
lavoro è di dare la priorità
al mantenimento dello stesso carico e dello
stesso numero di ripetizioni , dalla prima
allultima serie, per questo motivo
il tempo di recupero tra le serie deve essere
totale. In tal modo la resistenza muscolare
viene allenata allinterno di ogni
singola serie.
Figura
11: la logica della resistenza intra-serie
La
resistenza inter-serie
Al contrario una seduta basata sulla"resistenza
inter-serie" è strutturata secondo
questo schema:
Tipo
di esercitazione: Squat (oppure pressa
o leg extension nel caso del quadricipite
femorale, leg curl nel caso del bicipite
femorale)
Serie
: da 5 ad 8
Carico:
modulabile in funzione del numero di ripetizioni
da effettuare
Ripetizioni:
da 10 a 12 RM
Recupero:
circa 40" comunque imparziale
La
logica che si persegue nel metodo della
resistenza inter-serie, è quella
di dare la priorità al numero di
ripetizioni da effettuarsi in ogni serie.
Dal momento che la pausa ridotta che si
osserva tra le serie non permette un recupero
muscolare totale, il carico andrà
modulato, ossia ridotto serie dopo serie,
in modo tale da mantenere costante il numero
delle ripetizioni svolte durante ogni serie
stessa. In tal modo la resistenza muscolare
viene allenata , sia allinterno di
ogni singola serie, che nella globalità
delle serie stesse.
Figura
12: la logica della resistenza inter-serie
A
questo punto diviene logico domandarsi "qual
è sostanzialmente la differenza tra
la metodologia della resistenza intra-serie
e quella inter-serie"?. La risposta
è che nel primo caso la resistenza
viene allenata ponendo laccento anche
sulle caratteristiche di forza e sullipertrofia
(poiché il carico è costante
e di una certa entità), mentre nel
secondo caso si lavora in modo specifico
la resistenza, coinvolgendo in modo meno
pronunciato lo sviluppo della forza ed il
fenomeno ipertrofico (lentità
del carico infatti diminuisce di serie in
serie).
La
"resistenza alla potenza"
In
effetti lappellativo di resistenza
alla potenza potrebbe sembrare prima vista
una"contraddizione in termini", come
possono, diranno in molti, convivere le
caratteristiche di resistenza con quelle
di potenza? Ed invece, strano a dirsi, possono.
Vediamo di spiegare questo "strano
fenomeno". In primo luogo si tratta
di stabilire, per ciò che riguarda
lesercitazione considerata, il carico
che ci permette di esprimere il picco di
potenza (figura 13). Secondariamente occorre
verificare il numero di ripetizioni che
latleta, utilizzando il carico in
questione, riesce ad effettuare senza scendere
al di sotto del 90% del valore della potenza
di picco. Poniamo che queste siano 7 (in
effetti normalmente è possibile effettuare
dalle 6 alle 8 ripetizioni). A questo punto
occorre sottrarre 3 ripetizioni al numero
di ripetizioni precedentemente calcolate,
in questo caso : 7-3 = 4 ripetizioni. Ora
si tratta effettuare 4 ripetizioni per 3
volte intervallate da 30" di recupero,
questo costituisce una serie.Il fattore
importante da sottolineare è che
in tutte le ripetizioni della serie latleta
non scenderà mai al di sotto del
90% del valore della potenza di picco. Questo
perchè i 30 di recupero
permettono un parziale ma sufficiente ripristino
delle scorte di CP. Alla fine si saranno
effettuate un totale 12 ripetizioni contro
le 7 possibili con il metodo tradizionale.
Non si tratta allora di "resistenza
alla potenza"?
Figura
13: la determinazione del carico che permette
la produzione del picco di potenza attraverso
il Power Test (Globus Italia Evaluation
System) (Bisciotti, 2001).
Figura
14: la logica della "resistenza alla
potenza"
Soglia,
VAM e carico interno
Molti
ritengono che la VAM sia un parametro sufficiente
per quantificare correttamente il carico
di lavoro interno di un atleta durante un
lavoro di resistenza organica. Non mi trovo
daccordo completamente con questo
concetto e vorrei spiegarne brevemente il
perchè. Poniamo il caso di due atleti,
Ugo e Giovanni, che abbiano lo stesso valore
di VAM, ad esempio 18 km/h ma diverso valore
di soglia anaerobica, ammettiamo 15 km/h
per Ugo e 13.5 per Giovanni. Se Ugo e Giovanni
dovessero svolgere un lavoro costituito
da 20 di corsa continua a 14 km/h,
utilizzando come sola discriminante per
la parametrizzazione del carico interno
la VAM, verrebbe logico pensare che i nostri
due atleti sosterrebbero il medesimo carico
interno, entrambi infatti sarebbero al 78%
della loro VAM. Ma se considerassimo i loro
rispettivi valori di soglia, Ugo lavorerebbe
sotto soglia mentre Giovanni correrebbe
sopra soglia, ragion per cui non potremmo
più ragionevolmente sostenere lipotesi
che entrambi svolgano un lavoro di egual
carico interno. Che conclusione trarre da
tutto ciò? Che durante lavori prolungati,
direi dai 20 in poi (tempo al di là
del quale entra in gioco il valore di soglia
anaerobica), per parametrizzare correttamente
il carico interno occorre considerare il
valore di soglia anaerobica, mentre per
lavori di durata più corta, il valore
di VAM ci dà già di per se
una corretta valutazione del carico interno
sostenuto.
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