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Argomento: |
Traumatologia sportiva |
Data: |
2008 |
Testata: |
«L'invecchiamento, il racconto biologico», volume edito dalla Comunità Montana della Lunigiana
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Nuove strategie terapeutiche nella gonartrosi
secondaria dello sportivo ultraquarantenne
di Bisciotti Gian Nicola Ph. D.
5.1 L’artrosi come malattia sociale
Quest’ultimo capitolo esula da
quella che originariamente era la struttura del libro che, in effetti, intendeva
prendere in considerazione, oltre alle teorie biologiche dell’invecchiamento
illustrate nel primo capitolo,
solamente i fenomeni degenerativi a cui, nel corso della senescenza, andavano
incontro il sistema muscolare, quello scheletrico e quello cardiocircolatorio.
Tuttavia, nel corso della mia attività lavorativa, mi sono, e mi sto tuttora, rendendo
conto di come il fenomeno dell’artrosi, non solo costituisca una vera e propria malattia sociale, ma
come anche limiti fortemente la popolazione di ultraquarantenni che intenda
dedicarsi, o proseguire, un’attività ludico-sportiva. Ragion per cui, alla luce di questa considerazione, e
soprattutto in funzione delle nuove strategie di tipo conservativo che oggi
sono a disposizione nel controllo dell’evoluzione di questa patologia, ho
deciso di integrare questo capitolo, forse “snaturando” un poco quello che è
l’organicità del lavoro, ma sperando che, in ogni caso, possa comunque costituire un’ utile fonte di
informazione.
L’artrosi, od osteoartrosi[1] (OS), è una malattia cronica degenerativa che si manifesta a livello articolare
con interessamento specifico della cartilagine articolare in associazione a
fenomeni di degenerazione dell’osso sottostante. Nel quadro osteoartrosico
risultano però assenti i fenomeni infiammatori al contrario tipici delle
artriti. La sua insorgenza di norma si registra al di là dei 50 anni d’età ma è
possibile osservare dei quadri francamente artrosici anche in individui
giovani, persino al di sotto dei 30 anni (Farag e coll, 2005) L’OS si manifesta
con maggior frequenza nel sesso femminile ed in individui con tendenza
all’obesità (vedi il riquadro specifico) al diabete, alle varici, all’iperlipidemia ed all’iperuricemia
(Steadman e coll., 2007).
E’
possibile classificare le osteoartrosi in due categorie, di cui la prima è
costituita dalle osteoartrosi primitive e la seconda dalle osteoartrosi
secondarie. Le forme primitive sono riconducibili a fenomeni generali di usura
meccanica a carico della cartilagine articolare (Rudolph e coll., 2007). Tra le
cause responsabili dell’insorgenza di un OS primaria vanno annoverati diversi
fattori come l’aumento ponderale, gli squilibri metabolici, le turbe endocrine,
le malattie epatiche o renali, l’insufficienza venosa periferica, oltre che una
predisposizione di tipo ereditario. Le OS cosiddette secondarie, sono invece
collegate ad alterate condizioni biomeccaniche che sottopongono la superficie
articolare, od una parte di essa, ad un carico alterato, compromettendo, in tal
modo, il corretto funzionamento dell’articolazione stessa (Rudolph e coll.,
2007).
Le OS secondarie sono di norma monoarticolari e non mostrano tendenza
alla diffusione. Soprattutto negli ex-sportivi sono ampiamente diffuse le OS
secondarie di tipo post-traumatico e da alterazione della statica. Le OS
post-traumatiche sono il risultato di eventi traumatici che hanno agito
unicamente o reiteratamente a livello articolare. Nel caso di unicità del
trauma si vengono a determinare gravi danni a livello della cartilagine
articolare e della capsula, nel caso invece di microtraumatismi ripetuti si
verifica, al contrario, una precoce usura della cartilagine articolare
(Lohmander e coll., 2007; Wu e coll., 2007). Le OS da squilibrio della statica,
vedono invece la loro insorgenza legata ad un’alterata e non corretta
distribuzione del carico sulla superficie articolare.
Degli esempi tipici in
quest’ambito sono costituiti dalle OS dell’anca che si manifestano in esiti di
lussazione d’anca congenita, oppure le OS conseguenti ad esiti di fratture non
correttamente ridotte, a ginocchia vare o valghe, a cifosi o scoliosi della
colonna vertebrale (Mullaji e coll., 2007). Non è un caso quindi che molti ex
sportivi, oppure sportivi ultraquarantenni ancora in attività, debbano far fronte ad un processo di tipo
osteoartrosico soprattutto a livello dell’articolazione del ginocchio, che
risulta statisticamente l’articolazione maggiormente interessata a questo tipo
di problema (Foley e coll., 2007).
Le cause più diffuse di gonartrosi secondaria sono infatti costituite da
malallineamenti articolari come
valgismo o varismo, (Foley e coll., 2007; Mullaji e coll., 2007), da
instabilità dovuta a rottura
inveterata del legamento crociato anteriore o posteriore ( Wu e coll, 2007;
Swirtun e coll., 2006; Aït Si Selmi e coll., 2006; Wang e coll., 2002; Gill e Joshi,
2001.) oppure da postumi di meniscectomia totale, una pratica
chirurgica una volta molto diffusa ed oggi fortunatamente abbandonata e
rimpiazzata da più opportuni interventi di meniscectomia selettiva (Zaffagnini e coll., 200) (vedi il
riquadro di approfondimento specifico).
La gonalgia si manifesta con scrosci
articolari ed insorgenza di sintomatologia dolorosa, esacerbata dalla massima
flessione dell’articolazione del ginocchio e, perlomeno inizialmente,
dall’aumento del sovraccarico funzionale (Bennell e coll., 2007). Il dolore
nelle prime fasi si risolve con il riposo, ma in seguito diviene molto spesso
permanente, sino ad indurre una “claudicazione di fuga”, ossia una tendenza a
minimizzare il carico sull’arto dolente. In questo caso infatti il soggetto si
trova nella condizione di indugiare con il peso del corpo in carico sull’arto
sano, cercando contestualmente di ridurre temporalmente al minimo la fase di
appoggio sull’arto dolente (Baker e coll., 2007). Con il progredire del
processo osteoartrosico questa zoppia viene esacerbata dalla perdita di
estensione articolare che determina una progressiva flessione del ginocchio.
Molto spesso a questo quadro si associa l’insorgenza di una cisti di Baker che
si rende responsabile di una
fastidiosa sensazione di tensione e gonfiore a livello del cavo polpliteo
(Kärrholm e coll., 2007; Acebes e coll., 2006). In fase avanzata il processo
osteoartrosico può frequentemente peggiorare un malallineamento in varo od in
valgo già esistente, od addirittura determinarne l’insorgenza a causa dell’usura di tipo
asimmetrico alla quale viene sottoposta la superficie articolare (Mullaji e
coll., 2007).
La diagnosi di gonartrosi è di tipo prettamente radiologico e
viene formulata in base alla radiografia in carico del ginocchio effettuata nelle
due posizioni standard, anteroposteriore e laterale. Talvolta viene richiesta
una radiografia in carico con ginocchio flesso a 30° in modo tale da
evidenziare un’eventuale riduzione della rima articolare. I segni radiologici
suggestivi per la gonatrosi sono costituiti dalla riduzione della rima
articolare, dall’addensamento dell’osso sub-condrale, dalla formazioni di geodi[2] e di osteofiti[3].
La terapia
può essere di tipo preventivo, farmacologico o chirurgico (Raspopova e
Udartsev, 2006). La terapia preveniva si basa sull’applicazione di tutte quelle
norme di ordine generale atte a controllare i fisiologici processi di
invecchiamento e gli inevitabili fenomeni degenerativi ad essi conseguenti.
Possiamo annoverare in quest’ambito, soprattutto per quel che concerne
l’osteoartrosi primaria, il controllo del peso corporeo, il mantenimento di una
costante attività fisica, la cura, sin dai primi sintomi, delle affezioni di
ordine generale che potrebbero condurre all’insorgenza del processo
osteoartrosico. La terapia farmacologia classica praticata nel caso di
gonartrosi era, sino a pochi anni fa, essenzialmente basata sulla
somministrazione di farmaci antinfiammatori ed antidolorifici e costituiva, di
fatto, una terapia di tipo palliativo, atta solamente ad alleviare i disturbi
del paziente. Di corrente utilizzo era, e comunque resta tutt’oggi,
l’infiltrazione di prodotti cortisonici effettuata allo scopo di risolvere in
modo rapido un quadro infiammatorio locale. Tuttavia tale pratica trova un suo
limite nel fatto che i farmaci cortisonici possono determinare un
deterioramento delle strutture cartilaginee e meniscali (Banning, 2006). Le
usuali terapie fisiche come laser, US, elettroforesi, trovano scarsa
applicazione nell’ambito della gonatrosi, maggiori, ma comunque limitati, risultati si possono invece ottenere
grazie alla radarterapia (Huang e coll, 200). Di una qualche utilità possono
essere le vitamine del gruppo B (B1, B6 e B12)
ed i cosiddetti farmaci condroprotettori come ad esempio la glucosoamina solfato,
la glucosamina cloridrato ed il glicosaminoglicano polisolfato (Dudek e coll.,
2007; Bruyere e Reginster, 2007). Queste molecole sarebbero in grado di
stimolare la sintesi dei proteoglicani[4],
conservare un’ottimale vitalità dei condrociti, inibire i processi di
degradazione cartilaginea e mantenere inalterate le caratteristiche del liquido
sinoviale. Tra le sostanze attualmente disponibili almeno due hanno già
clinicamente dimostrato clinicamente la loro attività condroprotettiva, la
glucosamina ed il condroitinsolfato, tanto da potere essere classificate come
sostanze DMOADS (Disease Modifying Osteo Arthritic Drugs) ossia prodotti in
grado di modificare l’osteoartrosi per periodi clinicamente controllati in un follow-up compreso tra tra 12 e 36 mesi. Tuttavia,
questi farmaci non hanno dimostrato nessuna validità nei quadri di OS avanzata
ed il loro utilizzo rimane quindi confinato nelle forme di OS iniziali o medie (Bruyere e
Reginster, 2007) .
In ultimo buoni risultati sono stati registrati attraverso
l’infiltrazione intra-articolare di acido ialuronico, di cui parleremo
estesamente in seguito (Jamtvedt e coll., 2006; Brosseau e coll., 2007;
Yurtkuran e coll., 2007). La terapia chirurgica si basa sostanzialmente su tre
tipi di intervento: l’artrodesi, le tecniche di osteotomia correttiva e
l’impianto di artroprotesi (Wiehe e coll., 2007). L’intervento di artrodesi,
ossia la fusione chirurgica dei capi articolari del ginocchio, è ormai divenuto
una tecnica inusuale, che trova ancora una sua indicazione di elezione
fondamentalmente in tre quadri clinici selezionati.
Il primo caso è costituito
da un OS severa che mostri persistenza di infezione, tale da escludere a priori
un possibile impianto protesico. Il secondo quadro che potrebbe giustificare un
intervento di artrodesi è costituito da un anchilosi fibrosa di natura
post-traumatica, la cui gravità escluda, come nel caso precedente, il possibile
impianto di una protesi. Infine, un’ultima indicazione in tal senso riguarda i
pazienti classificabili come poco collaborativi nei confronti
dell’inevitabile programma
riabilitativo susseguente all’impianto di artroprotesi. Le osteotomie
correttive, atte alla correzione di un malallineamento in varo od in valgo del
ginocchio, sono particolarmente indicate nei pazienti giovani e presentano
l’innegabile vantaggio di preservare l’integrità articolare. Infine, la tecnica
di artroprotesi prevede la sostituzione dell’articolazione con protesi
meccaniche totali o monocompartimentali.
5.2 La terapia
viscosupplementativa con acido ialuronico
L’acido ialuronico (HA) è il
principale glicosaminoglicano della sostanza fondamentale del tessuto
connettivo. Le molecole di acido ialuronico sono polimeri quasi lineari di peso
molecolare molto elevato (105-106 dalton), la cui unità ripetitiva è costituita
da un residuo di N-acetilglucosamina unito con legame b-1,4-glicosidico a uno
di acido D-glucuronico. Quest'ultimo è unito con legame b-1,3-glicosidico alla
successiva unità disaccaridica. L’HA è presente, associato a proteine, anche
nel corpo vitreo dell'occhio, nella cute, nel liquido sinoviale, nella membrana
sinoviale e nella cartilagine.
A livello cartilagine l’HA, essendo una
componente della matrice cartilaginea stessa, è in grado di svolgere un ruolo
“aggregante” nei confronti dei proteoglicani, aumentando in tal modo il turgore
e l‘elasticità cartilaginea. Infine, oltre a presentare un’attività di tipo
antidegenerativo ed antiflogistico, si mostra in grado di svolgere una funzione
di tipo ricostruttivo nei confronti della matrice cartilaginea. In caso di
gonartrosi l’HA presente a livello articolare subisce una diminuzione, sia per
ciò che riguarda il suo valore medio di peso molecolare, che per la sua
concentrazione. Questi cambiamenti sono da imputarsi ad un fenomeno di diluizione
dell’HA stesso secondario al versamento articolare, nonché ad una sua alterata
sintesi ed ad un aumento del suo rateo di degradazione nel liquido sinoviale.
Il concetto di viscosupplementazione, ossia l’utilizzo dell’HA mediante
iniezione intrarticolare allo
scopo di ottenere una reintegrazione delle caratteristiche visco-elastiche
della cartilagine articolare, è stato introdotto per la prima volta da Balazs e
Denlinger nel 1970 (Balazs e Denlinger, 1989; 1993).
Gli effetti della
viscosupplementazione sono sostanzialmente riconducibili ad un effetto
meccanico, dovuto all’aumento del peso molecolare, unitamente ad una buona
efficacia in termini antiflogistici ed analgesici (Onel e coll., 2007; Reichenbach e coll., 2007; Jüni e
coll., 2007). Attualmente sono disponibili HA altamente purificati estratti da
cellule batteriche che presentano un alto peso molecolare, compreso tra i 2.4 ed i 3.6 milioni di dalton.
Tali prodotti favoriscono la lubrificazione articolare, permettendo una
maggiore mobilità e flessibilità dell’articolazione trattata, riducendo
contestualmente la sensazione algica del paziente. Le controindicazioni sono
costituite da ipersensibilità nota nei confronti dell’HA, dalle infezioni
articolari del ginocchio o della zona di iniezione, oltre che da disturbi
cutanei.
E’ importante ricordare che il processo infiammatorio tipico della
gonartrosi, oltre che essere alla
base del fenomeno essudativo, stimola la secrezione di HA. L’essudazione causa
la dissoluzione del HA nel liquido sinoviale e nei tessuti adiacenti.
L’alterazione della sintesi di HA, che si riscontra nella gonartrosi
(alterazione è in effetti il termine più corretto da utilizzare in quanto la
sintesi di HA può risultare sia
accelerata, che ridotta, oppure
semplicemente compromessa), può
comportare la produzione di molecole di minor dimensione rispetto alla
situazione di normalità fisiologica , inoltre, il processo infiammatorio può
indurre la produzione di radicali liberi che sarebbero responsabili della
degradazione e della frammentazione delle molecole di HA normali. In tali
condizioni l’elastoviscosità dei fluidi contenenti HA e la viscosità della
matrice cellulare intercellulare dei tessuti articolari, subirebbero una
drastica diminuzione. Il liquido sinoviale si troverebbe nell’impossibilità di
assolvere adeguatamente le sue funzioni fisiologiche e l’omeostasi articolare
sarebbe gravemente compromessa. Il concetto di viscosupplementazione, pertanto,
si basa sull’ipotesi che iniezioni intra-articolari di HA possano, non solamente
ripristinare la viscoelasticità del liquido sinoviale articolare ma che possano
anche promuovere la sintesi endogena di un ialuronato a più elevato peso
molecolare. Per questo motivo si può parlare di un fenomeno di
“viscoinduzione”, che appunto trova una sua giustificazione nella possibile
stimolazione della produzione endogena di HA da parte dei condrociti e dei
sinoviociti intra-articolari.
Gli effetti biologici della viscoinduzione
possono essere riassunti in tre azioni biochimiche fondamentali:
1) L’effetto
sull’infiammazione articolare attraverso la riduzione del livello di PGE2 prostaglendine E2) nel liquido
sinoviale, la prevenzione del danno ossidativo prodotto dai RDL, la
modulazione, intesa in senso inibitorio, dell’attivazione WBC (White Blood
Cells), oltre alla modulazione degli stadi iniziali della risposta immunitaria
locale.
2) Un
effetto anti-catabolico locale ed una riduzione dei markers della degradazione
cartilaginea.
3) Un
effetto pro-anabolico che viene sostanzialmente espletato dalla neosintesi di
HA da parte dei sinoviociti e dei condrociti.
E’ INTERESSANTE SAPERE
CHE…
Meniscectomia ed OS
E’ universalmente noto
come il ruolo dei menischi nella corretta ripartizione del carico
dell’articolazione del ginocchio, sia fondamentale. A ginocchio esteso il
menisco mediale sopporta infatti circa il 50% del carico del compartimento
mediale, mentre, sempre ad articolazione in estensione completa, il menisco
laterale sostiene ben il 70% del carico articolare del compartimento laterale. In
letteratura è ben documentata la correlazione esistente tra la diminuzione di
quest’importante ruolo di sostegno svolto dai menischi, a cui si assiste dopo
meniscectomia, e l’incidenza dell’OS. In questi casi, infatti, i carichi
articolari possono, all’interno del compartimento interessato, anche triplicare
la loro entità. Non è raro quindi che un paziente, prima attivo, presenti una
forma OS monocompartimentale con progressiva deformità articolare, in seguito
ad una meniscectomia totale o quasi totale (Lohmander e coll., 2007) |
Tutto questo ha reso la viscosupplementazione, una
tecnica sempre più utilizzata come
trattamento sintomatico dell’OS del ginocchio. Tuttavia, un problema ricorrente
è costituito dalla scelta di un prodotto idoneo. Infatti sono oggi disponibili
un gran numero di preparati a base di ialuronato di sodio (NaHa) ed orientarsi
in questo senso non è sempre facile.. I vari prodotti oggi disponibili si
differenziano tra loro in base alla massa molecolare, alla concentrazione in
ialuronato di sodio ed alla posologia raccomandata, intesa come numero di
infiltrazioni consigliate. Anche se alcuni Autori (Adams e coll., 2000), asseriscono l’efficacia, sino a fine
trattamento, di tutte le soluzioni
visco-elastiche a base di ialuronato di sodio, molti altri studi mostrano come
la durata e la natura dei vari tipi di trattamento, non siano identiche.
Sembrerebbe infatti che l’efficacia maggiore sia ottenibile grazie all’utilizzo
di prodotti ad alto peso molecolare, rispetto a quelli di più basso peso
molecolare (Roman e coll., 2000; Lussier, e coll., 1996; Raynaud e coll., 2002; Wobig e coll., 1999). Lo
ialuronato di sodio ad alto peso molecolare, sembrerebbe in effetti richiedere
un numero minore di infiltrazioni rispetto a quello a basso peso molecolare,
inoltre con l’utilizzo di quest’ultimo non è nemmeno lecito aumentare la
quantità di ialuronato per ogni infiltrazione, con la speranza di poter
ridurre, in tal modo, il numero delle stesse ed ottenere, comunque, un
risultato soddisfacente (Bragantini e coll., 1982). La maggior efficacia dello
ialuronato di sodio ad alto peso molecolare, sia in termini di durata, che di qualità dei benefici, sembrerebbe poter essere messa in relazione al fatto che la sua
maggior viscosità gli permette un tempo di stazionamento maggiore all’interno
dell’articolazione (Lussier e coll., 1996). Inoltre gli HA ad alto peso
molecolare, oltre che un effetto viscosupplementativo/viscoinduttivo,
mostrerebbero, a livello articolare, un effetto meccanico di tipo “ammortizzante” che
espleterebbe un interessante effetto protettivo sulle strutture articolari
stesse (Reichenbach e coll., 2007). Un interessante studio condotto sulla viscosupplementazione ad
alto peso molecolare (Duboureau e coll., 2006) ha dimostrato come il
miglioramento algo-funzionale dei pazienti trattati con questa metodica, sia
stato accompagnato da una contestuale diminuzione dei trattamenti farmacologici
associati, riferendosi specificatamente a 5 classi terapeutiche:-Farmaci antalgici come paracetamolo
e similari- FANS-Anti Cox-2-Corticoidi-CondroprotettoriI pazienti che facevano uso
abituale di tali farmaci, sono passati dal 73%, in fase pre-trattamento viscosupplementativo,
al 27%, in un periodo di 12 mesi. Inoltre, nell’ambito del 27% dei pazienti,
che comunque facevano ancora uso di farmaci, si è registrato un radicale
cambiamento nella tipologia delle assunzioni, con una netta diminuzione del
consumo di corticoidi e Anti Cox-2 a profitto del paracetamolo e similari,
farmaci quindi meno costosi e con meno controindicazioni oltre che, nel 2004,
raccomandati dall’EULAR. Sempre nell’ambito dello stesso studio non sono stati
segnalati casi di artrite settica o reazioni infiammatorie acute
post-infiltrative.
Figura 1 : numero dei pazienti
e diverse tipologie di assunzioni farmacologiche, prima e dopo 12 mesi dal
trattamento di viscosupplementazione. Lo studio dell’andamento dei trattamenti
farmacologici associati alla sintomatologia dolorosa dopo
viscosupplementazione, costituisce un buon indicatore dell’efficacia del
trattamento stesso.
Ad oggi numerosi studi
testimonierebbero l’interesse
pratico della viscosupplementazione ad alto peso molecolare anche per quello
che riguarda l’anca artrosica (Brocq e coll., 2002; Conrozier e coll., 2003;
Vad e coll., 2003; Berg e Olsson, 2004; Migliore e coll., 2005; (Van den
Bekerom e coll., 2007; Dagenais, 2007). Anche in questo caso l’infiltrazione
sarebbe ben tollerata dal paziente e permetterebbe una netta diminuzione della
sintomatologia dolorosa, associata ad una miglior mobilità articolare.
Ulteriori conferme di questi risultati permetterebbero, anche nell’ambito coxartrosi, di sopprimere i trattamenti
antinfiammatori, fonte di numerosi effetti secondari, e ritardare comunque
l’impianto di una protesi.
RIQUADRO DI
APPROFONDIMENTO
OS ed obesità
E’ noto da tempo come
l’obesità costituisca una delle maggiori cause scatenanti dell’OS. Infatti,
oltre al fattore meccanico connesso all’eccesso poderale, esisterebbero anche
degli elementi di ordine biochimico sistemico che sarebbero correlati ad una
massa lipidica anormale e che potrebbero essere in grado di condurre verso una
progressiva perdita dell’omeostasi articolare. Questa perdita di omeostasi a
livello articolare, sarebbe da
imputarsi all’azione locale delle adipochine ed in particolare della leptina e
dell’adiponectina. La prima, ossia la leptina, è una proteina circolante
elaborata dagli adipociti, che rappresenta il prodotto del gene per l'obesità.
La leptina sembra svolgere un importante ruolo nella regolazione del peso
corporeo riducendo l'assunzione di cibo ed aumentando la dispersione
dell'energia organica, suggerendo che la sua funzione, di tipo ormonale, sia
quella di segnalare ai centri nervosi cerebrali i livelli di scorte lipidiche
dell'organismo stesso. Una dieta ricca di lipidi determina un considerevole
aumento dei livelli di leptina circolante, che sembrano essere finemente
regolati dalle riserve lipidiche complessive dell'organismo. L’adipoleptina,
invece è una proteina che svolge il ruolo sia di marcatore, che di regolatore
della sensibilità insulinica e può, a tutti gli effetti, essere considerata
come un legame metabolico tra l’attività del tessuto adiposo e
l’insulinoresistenza. Nell’OS si registra un espressione di leptina
preponderante a livello della cartilagine artrosica, fattore che testimonia in
modo inequivocabile l’eziologia metabolica della malattia. In concomitanza
all’aumento dei valori di leptina, si registra una contestuale diminuzione dei
valori di adiponectina. Questo quadro metabolico sarebbe direttamente connesso
alla gravità dell’OS stessa e diverrebbe particolarmente evidente soprattutto
nella popolazione femminile. Questi dati, oltre a sottolineare l’importanza di
una corretta igiene alimentare, fanno facilmente prevedere dei futuri nuovi orientamenti farmacologici nei
confronti della malattia. (Terlain e coll., 2006; Iliopoulos e coll., 2007). |
La terapia di
viscosupplementazione con HA ad alto peso molecolare sembra quindi trovare un
sempre maggiore, e giustificato, consenso nella terapia conservativa dell’OS.
E’ interessante anche ricordare che la medesima tecnica supplementativa, sia
stata recentemente proposta anche per ciò che riguarda il trattamento
conservativo della coxartrosi e come i primi studi scientifici, seppur con un
follow-up limitato, siano, in tal senso, piuttosto incoraggianti. Tuttavia,
occorre sottolineare come i maggiori benefici siano registrabili in processi
osteoartrosici non eccessivamente avanzati, oltre al fatto che la terapia
viscosupplementativa, nel caso di gonartrosi, debba necessariamente essere
complimentata da un programma di rinforzo selettivo a carico della muscolatura
della gamba e della coscia rivolta all’aumento della stabilità articolare del
ginocchio.
Figura 2: radiografia in
proiezione antero-posteriore suggestiva per gonartrosi. La proiezione radiografica mostra riduzione
dello spazio articolare a livello del compartimento mediale (frecce nere)
associata ad osteofitosi (frecce bianche). (Thomas e coll., 2006)
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[1]
Il termine
“osteoartrosi” ha ormai sostituito quello di “artrosi” in virtù del fatto che,
contrariamente a quanto si pensasse antecedentemente, nella patogenesi dell’osteoartrosi non si verifica unicamente un danno a livello della sola
cartilagine articolare ma, al contrario, è evidenziabile anche un coinvolgimento dell’osso subcondrale.
[2]
Geodi:
cavità cistiche a livello osseo di diversa grandezza tipiche del processo
osteoartrosico. I geodi sono l’espressione a livello osseo di aree necrotiche
sviluppatesi in seguito all’applicazione del carico nella stazione eretta e
durante la deambulazione, a cui conseguono microfratture trabecolari che
comportano l’origine delle tipiche cavità. Sono occupate da tessuto fibroso non più nutrito da vasi
sanguigni. Nel ginocchio osteoartrosico la formazione di geodi è comunque più
rara di quanto invece non sia riscontabile nell’artrosi dell’anca.
[3]
Osteofiti:
proliferazione ossea a lenta formazione che esita in formazioni di escrescenze
bernoccolute od appuntite. La formazione di osteofiti costituisce uno
stratagemma adattivo dell’osso subcondrale al fine di far fronte alla
distruzione cartilaginea nel tentativo di migliorare la distribuzione dei
carichi aumentando la superficie articolare.
[4]
Proteoglicano: sostanza complessa costituita da un polisaccaride legato ad una
catena polipeptidica, in cui la porzione glicidica è nettamente prevalente. La
componente glicidica è costituita da mucopolisaccaridi acidi uniti alla porzione
proteica con legami di tipo ionico. I proteoglicani si trovano nella sostanza
basale intercellulare della maggior parte dei tessuti animali. Sono abbondanti
nella cartilagine, nei tendini, nella cute e nel liquido sinoviale.
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